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Una donna fantastica - Recensione

Fresco vincitore dell'Oscar come migliore pellicola in lingua straniera, Una donna fantastica del cileno Sebastian Lelio è la storia di un amore tra una transgender e un maturo uomo d'affari e delle conseguenze che questo amore 'diverso' porta sulla vita della donna una volta che il destino spezza tragicamente il legame

Sfruttando alla perfezione l’ostentato e anche un po’ ipocrita clima di 'integrazione' che ha animato la 90° edizione degli Oscar, Una donna fantastica del cileno Sebastian Lelio, affiancato dal robusto intervento produttivo di Pablo Larrain, vince la statuetta nella categoria Film in lingua straniera sbaragliando opere anche decisamente superiori quali Loveless e Corpo e anima; d’altronde in un trionfo di afflati anti barriere trumpiane, proteste sdegnose tinte di femminismo militante contro puttanieri e molestatori, grida di allarme contro una nuova forma di razzismo post-obamiano meno becera ma ben più perniciosa, storie delicatamente gay e favolette per adulti che inneggiano al superamento della discriminazione e della diversità, poteva mai passare inosservato un film che tratta in maniera schietta e senza tanti fronzoli il tema del transessualismo, a maggior ragione quando la protagonista (la eccellente Daniela Vega) è stata pomposamente etichettata come prima attrice transgender a presentare la notte degli Oscar?
L’opera di Lelio è infatti incentrata sulla figura di Marina, una  trentenne, aspirante cantante che si guadagna da vivere come cameriera in un ristorante e che intrattiene una tenera storia d’amore con Orlando, un imprenditore tessile decisamente più maturo di lei che ha mollato la famiglia e che ha in procinto di vivere sotto lo stesso tetto con Marina. Orlando una sera muore, colpito da una emorragia cerebrale, nonostante l’estremo tentativo della donna di portarlo prontamente in ospedale. Marina capisce subito che sarà sola ad affrontare il mare di problemi che le si riverseranno addosso, perché lei non è una 'vera' donna bensì, prima di tutto, un trans. La famiglia di Orlando, compresa una isterica ex moglie che pensa che il marito sia semplicemente caduto in un gorgo di perversione sessuale, non intende rispettare minimamente la protagonista, tranne, forse il fratello di Orlando che timidamente sembra volerla comunque tenere in considerazione.
Divieto a partecipare alla cerimonia funebre, riconsegna immediata di automobile e chiavi di casa, insulti che si spingono persino ad una raccapricciante scena di violenza psicologica prima di tutto, la volontà assoluta di non voler minimamente capire il senso di quella relazione che si basava invece sul puro rispetto e sull’amore, persino chi indaga sulla morte dell’uomo a causa degli ematomi e delle ferite trovate sul suo corpo in seguito alla caduta per le scale durante l’affannosa corsa in ospedale, sembra voler cercare solo qualche spunto morboso, di violenza e di sopraffazione, rifiutando aprioristicamente quella che invece è stata una storia di amore e affetto tra due persone adulte consenzienti: le ferite sul corpo di Orlando diventano le stigmate di un rapporto insano, il segno della violenza che inevitabilmente deve permeare un rapporto perverso che nasce da desideri turpi, il segno della colpa di Marina e dello stesso Orlando presi dal vortice della insana passione che si basa sulla sopraffazione.
Famiglia di Orlando, medici, poliziotti, tutto ciò che ruota intorno a Marina sembra concorrere all’unico e medesima scopo: snaturare la natura del loro rapporto, volgarizzandolo e svuotandolo di tutto quello che possa avere avere a che fare con i sentimenti. Marina sarà costretta ad una lotta quotidiana per difendere il suo sentimento, accettare la perdita e ripartire inseguendo i suoi sogni.
Nonostante il cappello introduttivo volutamente polemico (verso Hollywood e non verso il film), Una donna fantastica è di certo un buon film, cui solo un paio di incidenti di percorso (la scena in discoteca, l’intermezzo con la sorella e il cognato di Marina, certe derive oniriche) impediscono di assurgere a film di altissima qualità, soprattutto perché vanno a scalfire la profondità dei sentimenti e la prospettiva scelta nel complesso dal regista. Lelio non disseta la voglia di voyeurismo che potrebbe animare lo spettatore: rare scene di sesso peraltro molto delicate, quasi pudiche, fiera e sdegnata decisione di non mostrare cosa Marina ha in mezzo alle gambe, assenza di volgarità, incentrando invece tutto il racconto sul tentativo di mostrare una storia d’amore 'normale' conclusasi con un dramma e sulla incapacità inveterata della morale contemporanea di accettare sia un amore 'diverso' che una presenza 'diversa' che non sia una semplice macchietta bersaglio di dileggio e ironia cafona.

Grande merito alla riuscita del film va ascritto a Daniela Vega, bravissima attrice e cantante lirica cilena, transgender lei stessa e acclamatissima dalla critica durante tutto il 2017 dopo la presentazione del film alla Berlinale: non vi è dubbio che la tematica che inevitabilmente la coinvolge favorisce il suo immedesimarsi nella protagonista, ma le sue qualità di recitazione sono in assoluto straordinarie, così come la prova di Francisco Reyes va applaudita per la capacità di dare una profondità inusuale al suo personaggio, anche dopo la sua morte, rimanendo nella vita di Marina come un faro nella nebbia.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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