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Corpo e anima - Recensione

Trionfatore assoluto all'ultima Berlinale, Corpo e anima della regista ungherese Ildikò Enyedi è un duro e poetico racconto della sofferenza corporea contrapposta alla libertà del sogno e della difficoltà a superare il disagio fisico con la proiezione onirica

Dopo un intervallo di ben 17 anni dal suo ultimo lavoro, lasso di tempo impiegato nella direzione di documentari e di una serie televisiva di un certo successo (Teràpia), la regista ungherese Ildikò Enyedi torna alla regia cinematografica con un lavoro che a partire dalla ultima Berlinale dove ha letteralmente fatto il pieno di riconoscimenti tra cui l’Orso d’Oro per il miglior film, è risultato tra i più premiati dell’anno, oltre che essere stato selezionato per rappresentare l’Ungheria nella corsa agli Oscar per il miglior film in lingua non inglese.
Corpo e anima che, grazie all’attivissima e benemerita Movies Inspired, sarà presente sugli schermi italiani a partire dai primi giorni del nuovo anno, è uno di quei lavori che ha le stigmate del film che lascia il segno, sia relativamente alle tematiche trattate sia per la sua forza narrativa sostenuta da una regia abbagliante.
Gran parte del racconto si svolge tra due estremi: un mattatoio industriale dove lavorano i due protagonisti Endre, direttore amministrativo, e Maria, giovane responsabile della qualità, e un poetico e silenzioso bosco nel quale una coppia di cervi si muove con gesti lenti e naturali; due ambientazioni che sono la rappresentazione del mondo reale e di quello del sogno e della fantasia, animali macellati e sangue che scorre e candore immacolato delle nevi e sguardi dei due animali che si sfiorano. Il mondo del corpo, verrebbe quasi da dire della carne, osservata in tutti i suoi aspetti, e il mondo dell’anima, etereo come i due splendidi esemplari di cervo.
Endre e Maria sono due schegge solitarie di una mondo terreno che li vede alla deriva: paralizzato ad un braccio lui, che vive la sua solitudine con apparente fierezza, metodica, grigia nella sua maniacalità autistica lei, rimasta allo stato larvale di fanciulla che ancora si rivolge al suo psicologo infantile. Li unisce quel sogno ricorrente che la psicologa inviata a sottoporre a test i dipendenti del macello scopre quasi con risentimento: Endre e Maria vivono la loro vita onirica, proiezione dei loro desideri, nei corpi di due cervi. Inevitabile a quel punto un loro contatto, sebbene sia l’uno che l’altra siano tutt’altro che propensi a cedere alla socializzazione. Il grande baratro che divide la vita reale da quella del sogno impedisce ai due di spingersi fino a una conoscenza più profonda che è fortemente voluta da entrambi ma al contempo frenata dai loro retaggi personali.
Corpo e anima possiede già nel titolo, grazie al cielo ben poco elaborato nella traduzione italiana, il manifesto della sua poetica: una storia dove i corpi sono imprigionati in una schematica e fredda gabbia nella quali i due protagonisti si sono racchiusi per potere controllare il loro disagio e dove invece il sogno, massima espressione della fantasia e del subconscio, corre libero e si colora della metafora dei due cervi. I corpi sono martoriati dalla infelicità, dalla malattia e dal disagio, vivono in un luogo deputato alla distruzione dei corpi degli animali, portano il segno della malattia (fisica quella di Endre, psicologia e mentale quella di Maria). Il sogno ribalta la prospettiva: i cervi si sfiorano, si corteggiano, cercano il cibo, osservano con i loro occhi profondi e languidi la neve che cade, si inseguono in una ricerca di equilibrio che è tutto il contrario di quello che fanno i due protagonisti.
Il lavoro della Enyedi è insomma un poetico, mai scolastico né pedante, tentativo di dare corpo ai sogni, di poter cambiare il nostro destino con la fantasia onirica e al tempo stesso però è anche la certificazione delle difficoltà a raggiungere questo obiettivo. Proprio la regia della cineasta ungherese regala quel tocco in più ad un lavoro che sia a livello di sceneggiatura che a livello di fotografia si impone come tra i più belli dell’anno: una direzione misurata, delicata, mai eccessiva nella ricerca della poeticità, che non cede mai alla forza dell'attività onirica, e che anzi, attraverso essa, riesce a dipingere due personaggi per i quali è impossibile non sentire un impulso empatico sin da subito e che in alcuni frangenti diventa silenziosa commozione, soprattutto perché è tangibile l’affanno col quale inseguono una uscita dalla loro condizione di infelicità e di malessere.
Geza Morcsanyi e Alexandra Borbely sono bravissimi nell’interpretare il ruolo non semplice dei due personaggi protagonisti. La seconda poi è semplicemente splendida nel suo atteggiamento autistico fatto di gesti timidi e fanciulleschi.

Bisogna dirlo, e con grande piacere: stavolta la Berlinale non ha ceduto a facili suggestioni nell’assegnare i suoi premi, Corpo e anima è di certo film di grandissimo valore e qualità, duro e poetico al tempo stesso.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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