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The Sound and the Fury - Recensione (Venezia 71 - Fuori concorso)

James Franco torna alla Mostra del Cinema di Venezia, dopo Child of God, con una storia americana scritta da uno dei maggiori romanzieri. Nella nuova pellicola il poliedrico regista non solo racconta, ma soprattutto sperimenta

Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento i Compsons sono una famiglia aristocratica del sud degli Stati Uniti con tre figli maschi e una donna. Benestanti, istruiti, ambiziosi e rigidi nella loro educazione, sono però sconvolti da Caddy che conduce una gravidanza fuori dal matrimonio. L'evento provoca lo svelamento di segreti, tradimenti, incomprensioni, tensioni che pian piano infangano la stella della famiglia. A farne le spese sono i due genitori che si rassegnano a vedere la fine della loro dinastia, nonostante Jason, l'ultimo dei quattro fratelli, tenti di mantenerne alto il nome.
Guardare The Sound and the Fury significa comprendere e assaporare una tecnica narrativa, più che una storia. Tutto nasce dalla penna di William Faulkner che nell'omonimo racconto intesse un intreccio composto di spostamenti narrativi nell'arco di trent'anni. Il racconto, scandito da quattro date ognuna delle quali identifica un momento della vita dei Compsons, è suddiviso nei flussi di coscienza dei personaggi e la storia, così, si svolge in maniera non-cronologica. Per indicare i punti in cui la narrazione si muove nel passato, lo scrittore utilizza il segno grafico del corsivo. James Franco traduce questa scelta, utilizzando semplicemente la macchina da presa. Il regista, infatti, organizza la narrazione in tre punti di vista: quello di Benjy, il figlio maggiore affetto da ritardo mentale e molto amato da Caddy, interpretato dallo stesso Franco, il timido e disturbato dai propri sentimenti Quentin, Jacob Loeb, e il conservatore Jason, Scott Haze. La vicenda della sorella, interpretata da Ahna O'Reilly, si amalgama in ognuno di questi segmenti, descrivendo il personale amore dei tre fratelli nei suoi confronti.
Franco
appare più rigoroso, rispetto al racconto, più cinematografico nella narrazione dei fatti. Il regista fornisce, infatti, piccoli elementi, piccoli segni narrativi che mettono a confronto le prospettive uniche dei tre fratelli e, globalmente, descrivono la storia. Questo apparato grammaticale permette, quindi, di capire i salti temporali. Solo al termine, dopo aver inteso tutte le parole, tutti i dialoghi, dopo aver studiato tutte le diverse espressioni dei volti, i gesti degli attori, dopo aver inteso le diverse musiche che inquadrano le tre storie, dopo, quindi, aver messo assieme questo puzzle narrativo, la verità emerge e trova espressione in un sasso che rompe la finestra della casa dei Compsons che simboleggia la rottura della loro tradizione. Per rendere tutto ciò, Franco rinuncia a inquadrature globali, per favorire dettagli, piccole porzioni e particolari della storia. Così il regista sceglie di tradurre il corsivo di Faulkner.

La necessità, dunque, di raccontare una storia all'inizio dell'America, sui cambiamenti della nazione e in particolare del Sud attraverso soprattutto la colpa di amare di
Caddy e dei fratelli, emerge chiaramente. A questa si aggiunge, in particolare, il desiderio del regista di sperimentare, di proporre un diverso modo di raccontare, il più cinematografico possibile.

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