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Vermiglio - Recensione 

Un grande premio alla Mostra del Cinema 2024, il Gran Premio della Giuria, per un film piccolo che rimane trincerato tra le montagne in cui si svolge. Delpero è una brava regista che però deve ancora maturare

Ultimo anno della Seconda guerra mondiale in un paese immerso nella neve del Trentino, Vermiglio. La comunità è davvero piccola e tutti si conoscono. C’è una grande famiglia, numerosa; il padre famiglia è il maestro del paese e insegna a bambini e uomini a leggere, scrivere e far di conto. In questa realtà, giungono due soldati, disertori che si accostano alle altre vite. In particolare uno di loro, siciliano, si innamora della figlia maggiore del maestro, per poi sposarsi e creare una famiglia. L’uomo, però è costretto a lasciare Vermiglio e da qui si innesca una girandola di eventi oscuri sulla comunità che sembra non avere fine, se non con un cambio radicale di tutto.
Vermiglio, opera seconda di Maura Delpero, non è solo la storia di una ragazza che si innamora dell’uomo sbagliato, di un bugiardo e di un ingannatore. È la storia della sua intera famiglia che in quel momento della storia è costretta a stravolgere se stessa, mentre in lontananza, molto in lontananza, nel passare di un anno, oltre le montagne, l’Italia e l’Europa a loro volta devono fare i conti con un’altra trasformazione a seguito della fine del secondo conflitto. Vermiglio, quindi, è la storia di una crescita, non di una rivoluzione perché sarebbe eccessivo, ma di un cambiamento radicale che colpisce soprattutto la famiglia del maestro Cesare Graziadei, interpretato dal volto severo e tragico di Tommaso Ragno. La sua famiglia è numerosa e nonostante alcuni lutti precoci, si vuole sempre più ampliare. C’è il maggiore dei figli, Dino (Patrik Gardner), un giovane cocciuto, con il vizio del vino, in opposizione al padre, ma valido fisicamente. Poi c’è Lucia (Martina Scrinzi), la bella figlia maggiore, candida, pura, innocente che cattura le attenzioni di Pietro (Giuseppe De Domenico) il disertore. C’è poi Agata in preda alla pulsioni della sua età adolescenziale. Ruba la chiave che apre un cassetto chiuso a chiave del padre in cui custodisce alcuni giornali scandalistici, seppur questo atto le faccia provare una profonda vergogna e pentimento. Infine Ada, la figlia prediletta, che sa leggere molto bene, addirittura legge il giornale, ed è destinata, secondo il volere di Cesare, a studiare. A completare la famiglia tre figli maschi, piccoli, ingenui, schietti, sdentati e giocherelloni che con la loro onestà fanno simpatia a tutti, compreso il pubblico che guarda. Vermiglio si stringe, quindi, attorno alla famiglia Graziadei e ai valori in cui crede, come la fede, le tradizioni, le consuetudini, l’immobilismo. Arriva però Pietro, il soldato siciliano disertore che sconquassa questo assetto gelido come la neve che copiosa definisce il paesaggio in inverno. Il suo infilarsi nella famiglia protagonista innesca una serie di vicende che portano Dino, Agata, Lucia e anche Ada a prendere delle decisioni inaspettate e lontane da quel sistema di pensiero e valori accennato prima. Lo spettatore, quindi, è immerso nella dimensione di vita di Vermiglio, segue la quotidianità dei suoi abitanti con attenzione e vive a fianco della famiglia il dramma che si articola nella seconda parte del film. Questo momento di pathos estremo che riguarda in prima persona Lucia, sedotta e abbandonata con un figlio in attesa, ma anche di riverbero dall’intera comunità, non è espresso dalla regista con scene madri o con grandi momenti strappalacrime, ma con misura. Il momento spiacevole, dunque, si riassume nel viso rotto dalle lacrime della ragazza nel suo sguardo in cerca di risposte, nella volontà di capire chi sia davvero Pietro. Così facendo però, Delpero congela il dramma e non riesce a creare quel ponte di empatia con chi guarda. La sua macchina da presa, infatti, seppur dia la possibilità di sentire l’aria, di annusare il profumo dei fiori in fioritura, di percepire i suoni e i rumori del paesaggio montano, di assaporare la fonetica del dialetto locale, porta lo spettatore ai margini di quella comunità di vita. I dettagli, inoltre, dei visi, dei corpi, delle azioni, si associano con equilibrio alle inquadrature più ampie, mostrando, così, allo spettatore il contesto dell’azione, ma finisce tutto lì. Questo è il grande pregio e il più grande difetto di Vermiglio. Riesce a raccontare uno spaccato di vita, un segmento di esistenza, una storia personale, intima, famigliare onesta e chiara; è l’espressione singolare di Delpero ma anche un piccolo film che non riesce ad avere grandi riscontri universali. Gli manca quell’accento, quella prospettiva più ampia che possa permette di dire a chi guarda di ricordare piacevolmente la visione e di avere anche la possibilità di riflettere su quanto visto.
Vermiglio affascina alla visione, ma poi che rimane? Quali segmenti narrativi, quali riflessioni sui comportamenti, quali prospettive apre in chi guarda? Forse si fissa nella mente la voce candida dei bambini o fa sorridere la lotta contro se stessa e la sua sessualità della figlia di Cesare. Si ricorda al temine del film, il viso serio di Ragno, o anche l’immagine di un neonato curato con le foglie del cavolo, ma poi null’altro. Anche la Storia, dov’è? È solo un pretesto narrativo, uno sfondo, un particolare che resta in lontananza. Tutto questo avviene perché Delpero vuole porre uno sguardo documentaristico a un film di finzione senza trovare il giusto equilibrio tra le due parti. Lei osserva, scruta, guarda con la macchina da presa, ma non riesce a innescare quel processo di crescita al film. Dalla situazione iniziale, si passa al dramma e poi direttamente alla sua soluzione, senza percepire cosa sentano emotivamente le persone coinvolte. Perché Agata decide di abbandonare la famiglia per prendere i voti? Perché Lucia si avventura in un viaggio in Sicilia? Cosa spera di ottenere? E la famiglia che ne pensa? La famiglia Graziadei che ha sempre partecipato a ogni pensiero dei suoi componenti, improvvisamente di sfila e lascia che giovane si allontani da Vermiglio.

Devo cambiare radicalmente opinione rispetto a quanto da me scritto nelle mie Cronache dal Lido. Dopo aver riflettuto sul film a mente fredda, devo soprattutto ricredermi in merito al fatto che Vermiglio ha degli echi del romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga. In realtà il verismo di Delpero non c’è. Vermiglio è una storia di finzione, sicuramente personale (ma anche questo aspetto non emerge nel film; non si percepisce il calore che la regista prova nel raccontare la sua storia) che rimane confinata tra quelle montagne. Non è un racconto di verità perché non è approfondito; non è una favola che insegna qualcosa; non è un racconto storico; non è lo sfogliare di un diario personale che appassiona attraverso la descrizione di sentimenti ed emozioni. Vermiglio è un film che deve maturare, come la regia di Delpero che sicuramente possiede ottime capacità di crescita. 

Crediti fotografici: Vermiglio-Official Still (1) 




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 2.5

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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