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Out of the Blue - Recensione (Venezia 76 - Classici)

Una perla, misconosciuta, di Dennis Hopper. Ritratto duro, pregno di pessimismo, della società e della vita di provincia americana. Ribelle, anarcoide, inclassificabile come tutto il cinema maledetto del grande regista e attore. A Venezia Classici 2019 in versione restaurata

"It’s better to burn out than to fade away". In un passaggio dello stupendo brano di Neil Young da cui riprende il titolo, c’è tutto il carattere ribelle e (auto)distruttivo che caratterizza Out of the Blue. Dimenticato, misconosciuto, sottovaluto film di Dennis Hopper presentato a Venezia Classici, nell'ambito della 76esima Mostra del Cinema, la sezione che da alcuni anni propone in anteprima mondiale una selezione dei migliori restauri realizzati di recente da cineteche, istituzioni culturali e produzioni di tutto il mondo (in questo caso Discovery Productions). Il film risale al 1980, terza regia di Hopper dopo il successo di Easy Rider e l’insuccesso di The Last Movie. Passano quasi dieci anni prima del suo ritorno dietro la macchina da presa e il tempo sembra anche di più. Un secolo. Perché il mondo è cambiato in fretta, l’ondata libertaria e di emancipazione è stata normalizzata e per quanto riguarda il cinema il fuoco della Nuova Hollywood va inesorabilmente spegnendosi. In questo contesto di sconfitta ideologica e disillusione nasce Out of the Blue, incentrato su una famiglia disfunzionale.
Padre (Dennis Hopper), camionista alcolizzato che sta per uscire di prigione dopo aver scontato una pena di cinque anni per un incidente in cui hanno perso la vita diversi bambini su uno scuolabus. Madre (Sharon Farrell), tossicodipendente che fa la cameriera in un fast-food ed è l’amante del padrone. Figlia (Linda Manz) che attraversa le difficoltà dell’adolescenza in un ambiente squallido. Un duro ritratto familiare come paradigma di un più ampio smarrimento sociale che racconta il periodo e la provincia americana (anche se il film è stato girato a Vancouver), in particolare la white trash che Hopper ritrae in modo spietato ed estremamente doloroso. Non c’è spazio per la speranza, l’atmosfera è livida e si chiarisce solo per brevi momenti e in apparenza. Quando il padre esce di prigione, il tentativo della famiglia di avere vita normale è destinato a infrangersi contro problemi esterni, demoni interiori e segreti incestuosi che sul finale preannunciano una conclusione drammaticamente liberatoria come unica soluzione. Esplode così l’ambiente familiare, struttura basilare della società di cui viene mostrato il volto imbruttito, violento e ancorato, a dispetto del comportamento poco convenzionale dei personaggi, a una morale conservatrice. Esemplificativa l'apprensione della madre sull’orientamento sessuale della figlia Cindy, detta Cebe, attorno alla quale ruota tutto il racconto.
Notevolissima la prova di Linda Manz, nei panni di una giovane in lotta con il mondo. In una scena memorabile mentre sta fumando una sigaretta fuori dalla scuola, si alza di scatto e con decisione attraversa il campo dove i ragazzi giocano a football, si muove tra i componenti della banda musicale e spinge a terra una delle cheerleader che stanno provando le loro coreografie. Simbolo di quell’America privilegiata, compiaciuta, alle cui regole Cebe si ribella. Rifiuta la società, i suoi cardini appunto la famiglia e la scuola, appesa a una passione per il punk rock al quale il film dedica anche uno spazio specifico nella fuga della ragazza in una città vicina. D’altronde la musica (come in altri film di Hopper) ha una parte importante nell’intero racconto, a cominciare dalla già citata malinconica ballata di Neil Young dal titolo My My, Hey Hey (Out of the Blue). Ma la fuga è solo una parentesi, un peregrinaggio alla deriva più che un vero tentativo di evasione da un panorama esistenziale desolante. Cebe si trascina, adolescente sfrontata ma anche bambina che dorme con l’orsacchiotto e il pollice in bocca, segnata da traumi passati e senza prospettive per il futuro.

Un film che rappresenta un pezzo importante, probabilmente sottovalutato, nel quadro del cinema di Dennis Hopper. Un cinema maledetto e scomodo, ma così vibrante da ritagliarsi con forza un posto di primo piano nella storia della settima arte.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 4

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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