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The Look of Silence - Recensione

The Look of Silence - Film - Recensione - Joshua OppenheimerDopo lo sconvolgente The Act of Killing - L'atto di uccidere, Joshua Oppenheimer torna a parlare del genocidio indonesiano mettendo a confronto vittime e carnefici. Il suo è un documentario che scuote la coscienza dello spettatore

Documentarista di fama internazionale, Joshua Oppenheimer è il regista che con The Act of Killing – L'atto di uccidere ha cambiato la sua vita, riscuotendo successo in tutto il mondo fino ad arrivare a sfiorare la vittoria del premio Oscar nel 2012, ma attirando su di sé anche minacce di morte. Sì, perché The Act of Killing non è piaciuto per niente in Indonesia, dove una dittatura militare pianificò, nella seconda metà degli anni Sessanta, l'uccisione di circa un milione di persone la cui unica colpa era quella di avere simpatie comuniste. Il film era risultato indigesto perché aveva osato affrontare il genocidio compiuto da sadici criminali. Omicidi che non sono mai stati puniti perché i responsabili di quegli orrori sono ancora al potere. Il nuovo lavoro di Oppenheimer, presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2014, riparte da questi fatti, riportando indietro le lancette dell'orologio per mettere direttamente a confronto vittime e carnefici di quella che è stata definita come una delle più sanguinose epurazioni della Storia.
Il regista ripercorre infatti quegli eventi con la sua macchina da presa al servizio di una famiglia che ha visto uno dei suoi membri perdere la vita soccombendo alle atrocità degli squadroni della morte. Vediamo il fratello minore della persona uccisa decidere di elaborare il passato affrontando gli uomini che si sono macchiati di sangue le mani prendendo parte all'assassinio, nel tentativo di ristabilire la verità su fatti su cui non è mai stata fatta pienamente luce.
Prende così vita sullo schermo un fitto dialogo tra vittima e carnefice con la rievocazione delle gesta compiute da coloro che erano in prima fila nello sterminio degli oppositori politici: lo scopo è quello di vedere la reazione dei criminali di fronte alla richiesta di ammettere le loro responsabilità ampiamente documentate. Tutto inutile, perché la maggior parte delle volte è il silenzio ad interrompere un confronto serrato che lascia spesso senza fiato lo spettatore. Rabbia, paura e velate minacce da parte dei carnefici ci fanno sentire quanto sia ancora un tabù ciò che successe dal 1965 in poi in Indonesia.
In questo ideale campo-controcampo tra due 'faziosi' opposte, tra chi ha subito la Storia e chi invece ne è stato artefice, Oppenheimer colloca il suo sguardo partecipe dimostrandosi uno dei pochi registi che sanno come si gira un vero documentario: senza artifici, senza però rinunciare ad una composizione dell'inquadratura che scava nelle emozioni dei volti delle persone al centro del confronto-scontro, con le sole armi della presa diretta dei suoni dei luoghi in cui si sono svolti gli eventi, dello sguardo della macchina da presa e delle parole pronunciate davanti ad essa, l'occhio del regista riesuma il passato per portare a galla in tutta la sua violenza una pagina nascosta della brutalità dell'uomo.

The Look of Silence
è insomma un bel pugno allo stomaco che scuote lo spettatore e che restituisce al documentario la sua funzione primordiale di testimonianza di un luogo, di un tempo, di una umanità.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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