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Taming the Garden - Recensione

Iniziamo una nuova indagine sul cinema, osservando quello georgiano contemporaneo. Il primo titolo in analisi è l’ultimo documentario della pluripremiata regista Salomé Jashi che con Taming the Garden continua la sua indagine sulla Georgia di oggi. Al centro del suo obiettivo c’è la natura e la sua lotta con l’uomo

Nella nostra continua ricerca di nuove visioni e nuovi spunti nel cinema di oggi, dedichiamo una riflessione al cinema georgiano contemporaneo. Il motivo affonda nella certezza che la Georgia ha donato alla storia del cinema registi quali Sergej Paradžanov e Otar Ioseliani (seppur abbiano realizzato i loro film sotto la bandiera dell’Unione Sovietica), per poi, ahinoi, disperdere tutto questo valore a causa della caduta del colosso sovietico, della guerra civile e della sua fragile politica ed economia. Nell’ultimo decennio, però, una nuova generazione di registi/autori/cineasti ha fatto la sua apparizione in molti festival internazionali, proponendo le sue idee e il suo modo di creare immagini. Pensiamo a Beginning di Dea Kulumbegashvili che ha trionfato all’edizione 2020 del San Sebastián Film Festival, come anche al Trieste Film Festival nel 2021; agli applausi e alle critiche positive che i documentari di Salomé Jashi hanno ricevuto dagli Stati Uniti all’Europa; al trionfale passaggio di Alexandre Koberidze alla Berlinale del 2021 con What Do You See, When You Look at the Sky?. La nostra indagine, dunque, si concentra anche su questi nomi e si appoggia alla proposta di Mubi intitolata Le nuove luci del cinema georgiano, che ha messo a disposizione una selezioni di nuovi film georgiani, al fine di aprire una breccia autoriale nella grande industria cinematografica.
Nelle coste georgiane si ergono maestosi alcuni alberi secolari alla cui ombra sono cresciute diverse generazioni di uomini. Un anonimo uomo potente ne desidera uno in particolare: gigante, imperiale, che svetta massiccio e frondoso tra tutti gli altri. Quest’uomo è pronto a finanziare prima lo sradicamento dell’imperioso arbusto, poi il suo complesso e difficile spostamento per terra e per mare. La ricompensa per gli abitanti del paese è un pagamento in denaro. Questi, quindi, si confrontano e discutono a riguardo della richiesta: c’è chi definisce l’anonimo uomo un benefattore perché ha costruito strade e servizi e quindi la pretesa di un albero in cambio è ragionevole; la fronda dei contrari, composta dai più anziani, afferma che quel secolare albero è un testimone vivente della storia del loro popolo. Intanto i complessi e articolati lavori ingegneristici per staccare il grande albero dalla terra si avviano, fino al suo collocamento su due enormi camion che lo porteranno nella sua nuova casa.
Il viaggio del grandioso albero dalle coste del paesino georgiano al grande giardino dell’uomo potente è osservato e documentato con grande attenzione in tutte le sue fasi da Salomé Jashi. L’attenzione della regista si concentra soprattutto sulla fase iniziale, quella del taglio dell’abbondante zolla di terra in cui l’albero ha posto le sue radici per la collocazione sui camion dediti al trasporto. Le riprese sono di giorno e di notte, illuminate dalla luce del sole o dalle lampade alogene, e inquadrano sempre un’ampia porzione di paesaggio. Questo perché l’albero ha dimensioni enormi e la parte di terra che occupa è considerevole. Considerevoli sono anche le macchine, i cavi e tutti gli strumenti che gli operai utilizzano per completare lo sradicamento, o meglio l’addomesticamento (come indica il titolo) di questo imponente essere naturale. Loro si pongono a fianco del centenario arbusto, apparendo di piccole dimensioni, quasi infinitesimali, all’occhio della macchina da presa. Più in là, poi, si raccolgono gli abitanti del paese che discutono, contrapponendosi. C’è chi è a favore del regalo all’uomo potente in cambio della costruzione di strade, dell’arrivo dell’energia e altri servizi e c’è chi dice che quell’albero con la sua grandezza e vita è il vero e ultimo testimone della nazione, dei suoi cambiamenti e mutamenti. Nuove generazioni e vecchie generazioni che si raccolgono, però, di fronte all’opera degli operai. Salomé Jashi osserva per raccontare delle contrapposizioni: capitalismo, possesso, ostentazione (dell’uomo potente) contro la scarna vita degli abitanti del paese (le riprese negli interni delle case mostrano abitazioni con poco arredo, poco curate, quasi vuote); poi ancora, vecchi valori contro nuovi interessi, nuove aspettative di vita, forse più occidentali come dimostra il fatto che ogni uomo o donna del paese non ha grandi averi, ma ha un telefono cellulare con cui fotografa il viaggio dell’albero; infine la lotta tra l’uomo e la natura che si esprime sempre con la forza, con la prevaricazione del primo nei confronti della seconda, nell’ottica (inconcludente) dell’essere umano secondo cui lui è capace di dominare la natura. 
Tutto questo è narrato dalla regista georgiana con inquadrature fisse che mettono l’accento su quanto di giusto e sbagliato (questo giudizio spetta allo spettatore) appare sullo schermo, intessute in uno sviluppo lineare della vicenda, esattamente al contrario rispetto al viaggio dell’albero che si mostra difficile e lento e per compiersi deve tagliare o abbattere gli altri alberi che lungo il percorso ne impediscono il passaggio. Tutt’attorno si sentono le voci degli uomini, il suono della natura, il vento, l’acqua che bagna le coste del paese georgiano, che inglobano e immergono lo spettatore nella vita di quella gente, nella sua stretta relazione di vita con la natura e, soprattutto, nella complessità di un’apparente azione semplice.

Il tocco registico di Salomé Jashi è quindi misurato e preciso. Il suo compito è ben eseguito e guarda con attenzione ai documentari di Sergey Dvortsevoy e Sergei Loznitsa come modelli. La sua Georgia sta cambiando e forse sta perdendo alcuni testimoni della sua secolare storia, tra sgomento e sogni. In questo risiede la sua opera documentaristica. 




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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