In Dubious Battle - Recensione (Venezia 73 - Cinema nel giardino)
- Scritto da Fabio Canessa
- Pubblicato in Film fuori sala
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La percentuale dei film americani tratti da libri negli ultimi anni appare decisamente aumentata. Mancanza di soggetti originali che ha appiattito il cinema a stelle e strisce e ha prodotto film spesso di livello mediocre. Per via di adattamenti poco riusciti e a volte basati su libri che in fondo non avevano molto da dire. Diverso è il caso del lavoro di James Franco che prosegue nella sfida, mai così pienamente vinta, di affrontare i grandi autori americani.
Dopo William Faulkner (As I Lay Dying), Cormac McCarthy (Child of God) e ancora Faulkner (The Sound and the Fury) tocca a un romanzo di John Steinbeck che come i suoi capolavori di poco successivi, Uomini e topi e Furore, riflette sul tema della lotta di classe. Anche in modo più esplicito. La vicenda si concentra infatti sullo sciopero di alcuni raccoglitori di frutta in una vallata californiana durante i primi anni Trenta, nel pieno della recessione successiva alla grande crisi del 1929. Qualche centinaia di lavoratori, spendendo tutti i loro (pochi) soldi, raggiungono un campo di mele. Al loro arrivo, però, il padrone della terra abbassa il salario concordato da tre dollari a un solo dollaro al giorno. Sono costretti ad accettare, sembra non esserci altra soluzione. Resta però la normale e giusta insoddisfazione per l’arbitraria diminuzione del salario e su questa fanno leva due attivisti per i diritti dei lavoratori che si infiltrano tra i braccianti. Convincendoli a scioperare.
Il racconto di una battaglia che coinvolge lo spettatore sin dalle prime scene. In Dubious Battle rappresenta l'opera della maturazione dell'eclettico James Franco che come autore-regista già con i precedenti lavori, pur con maggiori imperfezioni, aveva iniziato a mostrare un percorso interessante. Una proposta filmica passo dopo passo sempre più coerente che approda ora a un'opera dal vibrante sapore politico nel senso più nobile del termine. Che sprigiona un'appassionante sincerità come le opere di Ken Loach. Così si perdonano facilmente certi momenti in cui il film calca troppo la mano, con dialoghi a volte forse eccessivi, e alcune parti meno riuscite come quelle relative al personaggio di Lisa. Non molto incisivo e malamente interpretato da Selena Gomez. L'unica scelta non particolarmente indovinata nella formazione di un cast importante dove figurano tra gli altri Vincent D'Onofrio, Ed Harris, Robert Duvall, Sam Shepard, Bryan Cranston (quest'ultimo, peccato, solo per un cameo) insieme al giovane co-protagonista Nat Wolff nei panni di Jim e allo stesso James Franco che riserva per sé il ruolo più interessante, quello di Mac. Quasi un intellettuale gramsciano (anche se non arriva da classi poi elevate) che si mette al servizio del proletariato, ne diventa guida usando le sue conoscenze teoriche, che ha un visione di ampio raggio, che sacrifica il bene individuale per una causa più grande. Anche con freddezza, senza remore. Il personaggio è infatti ben delineato pure in queste sfumature.
James Franco vince così, senza dubbi, la sua battaglia. Confezionando con questo lungometraggio il suo miglior film. Un'opera che segna un punto di svolta nell'approccio interessante, ma non sempre calibrato, alla grande letteratura americana. Con il regista pronto a sacrificare certe sperimentazioni formali che in altri film aveva introdotto (viene in mente lo split screen in As I Lay Dying) per una sostanza maggiore. La messa a punto di una cifra stilistica più lucida e consapevole di un cinema politico.
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Fabio Canessa
Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film. Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.