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My Uncle - Recensione

Riuscita commedia lieve e scanzonata costruita sul rapporto zio-nipote. Una strana coppia che regala risate piene soprattutto nella prima parte, perdendo un po' di smalto soltanto verso la fine, quando le gag che tengono in piedi la narrazione si fanno più forzate e meno brillanti

La galleria di fannulloni, tanto cari al cinema di Nobuhiro Yamashita, si arricchisce di un nuovo personaggio. Il più buffo portato sul grande schermo dal regista giapponese che alla fine degli anni Novanta aveva esordito con Hazy Life proponendo il primo ritratto di slackers della sua carriera. Un soggetto originale quello di allora, mentre My Uncle è basato su un romanzo di Morio Kita pubblicato nel 1972. Un libro per ragazzi che Yasushi Suto, produttore e sceneggiatore innamorato della storia sin da quando era adolescente, da tempo sognava di portare al cinema (qui l'intervista realizzata al Far East Film Festival 2017, dove racconta alcuni dettagli sul progetto insieme al regista e all'attore protagonista Ryuhei Matsuda). A dirigere la trasposizione cinematografica, che porta la vicenda ai giorni nostri, ha chiamato Yamashita, mai alle prese con una commedia così leggiadra e scanzonata.
Personaggio principale è un insegnante di filosofia part-time che vive alle spalle del fratello maggiore e della cognata. Al nipote, Yukio, viene assegnato a scuola un tema in cui deve descrivere un membro della sua famiglia e dopo un po’ di tentativi e ripensamenti il bambino sceglie proprio lo zio. Facendo il ritratto del parente – scroccone, taccagno, perditempo, pigro, lettore di manga, imbranato nello sport – colpisce la maestra che iscrive il tema a un concorso grazie al quale vince un viaggio per due persone alle Hawaii, nel frattempo diventate il sogno dello zio dopo l'incontro (con tanto di colpo di fulmine) con la nippo-americana Eri che sta per ritornare sulle isole del Pacifico per gestire la piantagione di caffè ereditata dalla nonna. Questo il semplice sviluppo della narrazione che regala risate, di gusto, per tutto il film. Soprattutto nella prima parte, più riuscita della seconda ambientata alle Hawaii che risulta un po' tirata per le lunghe (e quasi due ore è forse una durata eccessiva per il tipo di commedia) e con alcune gag non così brillanti come quelle che accompagnano la prima metà del film. Dove non mancano momenti davvero esilaranti, come quelli legati ai tentativi dello zio di estorcere soldi a Yukio per comprare manga e alla cognata con la scusa di portare in giro il nipote. Per non parlare dell'idea di andare alle Hawaii puntando, al posto di trovare il denaro con un lavoro, alla possibilità di vincere il viaggio che dà un concorso sulla raccolta di bollini di una bevanda in lattina. Con continua ricerca di lattine per avere maggiori chance che lo zio motiva come una campagna ecologista: filosofia applicata.
Una comicità che almeno a tratti ricorda certi classici del genere, basata prima che sui dialoghi su situazioni e la fisicità del protagonista. Un inedito e convincente Ryuhei Matsuda che forma una coppia perfetta con il piccolo Riku Ohnishi (già con importanti esperienze di set: dalla serie Going My Home di Hirokazu Kore-eda a film come Miss Zombie di Sabu) che ricopre all'interno della storia il ruolo di vero adulto, più saggio della sua età e dello stralunato e inetto zio. Che accompagna in un percorso di crescita al contrario. Notevole anche il cast di contorno, dove spiccano due delle migliori attrici giapponesi quali sono Shinobu Terajima e Yoko Maki.

Il nucleo centrale resta però la strana coppia zio-nipote e il loro rapporto il motore di un film senza grosse pretese, ma capace di regalare risate che riempiono il cuore come le commedie garbate di una volta.




Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3

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Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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