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Across Asia Film Festival 2019: intervista a John Torres

Dagli inizi a People Power Bombshell: The Diary of Vietnam. Il regista filippino John Torres, ospite dell’Across Asia Film Festival, si racconta in un’intervista esclusiva

Il nuovo cinema filippino si è affermato negli ultimi anni come uno dei più interessanti del panorama contemporaneo. Grazie a Lav Diaz, il primo nome che viene in mente anche per i premi vinti nei principali festival internazionali, e a tutta una serie di autori originali dei quali fa parte John Torres, ospite dell’Across Asia Film Festival 2019. Personale, visionario, sperimentatore rappresenta perfettamente il genere di filmmaker che la direzione artistica della manifestazione, curata da Stefano Galanti e Maria Paola Zedda, cerca per organizzare il programma della rassegna incentrata sui linguaggi indipendenti della produzione cinematografica asiatica. Approfondendo ogni anno la produzione di un singolo Paese, il festival intende mostrare il grande apporto dell’Asia in termini di ricerca estetica e innovazione linguistica sul panorama mondiale. Quest’anno il focus ha riguardato proprio il cinema filippino con John Torres grande protagonista insieme alla collega, e moglie, Shireen Seno.

Nato a Manila nel 1975, Torres dopo alcuni corti si è fatto notare nel 2006 con il suo lungometraggio d’esordio Todo todo teros che ha ottenuto diversi riconoscimenti, tra questi il Dragons & Tigers Award for Young Cinema al Festival di Vancouver. Anche gli altri suoi film lunghi hanno ricevuto apprezzamenti in numerosi festival: Years When I Was a Child Outside (2008), Refrains Happen Like Revolution in a Song (2010), Lukas the Strange (2013) e il più recente People Power Bombshell: The Diary of Vietnam Rose. Quest’ultimo è stato presentato anche nella rassegna che si svolge a Cagliari. Un particolarissimo lavoro in cui Torres riprende un vecchio film del maestro della sexploitation filippina degli anni Ottanta, Celso Ad. Castillo, intitolato The Diary of Vietnam Rose ma mai terminato, e monta quel materiale recuperato insieme a nuove riprese nelle stesse location. Sopra un audio ricreato con le voci di membri del cast di allora.

All’Across Asia Film Festival ha tenuto anche una masterclass in un liceo. Lei da ragazzo già sognava il cinema, di fare film?
Mi piaceva giocare a basket, ma volevo soprattutto diventare un musicista. Così ho imparato a suonare la chitarra da autodidatta, improvvisando, facendo pratica su ogni genere di musica fino a quando non andavo dormire. Imparare da solo qualcosa che nessuno ti ha insegnato credo sia magico ed è stato importante per me anche se ho capito che non sarei mai diventato una rockstar.

E come si è avvicinato al mondo delle immagini?
Per via di mio padre. Pubblicava libri per bambini e aveva questo business, chiamato Listen and Learn, per il quale ci chiedeva di stare davanti la telecamera a leggere, fare le moltiplicazioni. È stato il mio primo eroe, perché partendo da una situazione povera è riuscito a fare un sacco di soldi. Aveva molta attrezzatura per foto e video che ho avuto modo di conoscere sin da piccolo, anche una camera oscura dove sviluppava fotografie e là ho scoperto la magia delle foto che appaiono dal nulla. Quando mio padre non c’era, il suo assistente usava la camera oscura per sviluppare foto di donne nude. Un pomeriggio mi mostrò queste donne nude e rimasi così attratto dalle immagini.

Meglio del basket…
La magia delle foto e dei video mi conquistava. E ricordo con esattezza quando decisi che avrei fatto film. Un pomeriggio, dopo un pisolino, scesi al piano di sotto di casa nostra e mi trovai davanti la più grande celebrità delle Filippine: l’attrice Nora Aunor. Stavano girando una scena da noi, la vidi davanti alla camera piangere e subito dopo ridere. Una performance incredibile ai miei occhi. Uscito di casa, andai in garage e diedi un calcio a un pezzo di carta. Un membro della troupe mi disse che non dovevo farlo, di rimettere il foglio dove si trovava. Avevano trasformato la casa e tutto questo processo mi affascinò profondamente.

Così ha iniziato a interessarsi alla creazione video?
Avevamo anche un videoregistratore e tante cassette, a volte scritte e riscritte con pezzi di film diversi. Un mix che mi attirava. Poi ho imparato a fare montaggio da una cassetta all’altra, lavorando sul timing. Tutte queste cose me le sono portate dietro: il ritmo, l’improvvisazione, la magia delle immagini, il montaggio.

Ma nella sua formazione cinematografica da chi è stato maggiormente influenzato?
Non ho avuto influenze dirette e consapevoli. Ho iniziato con dei corti nel 2003 e ho fatto il mio primo lungometraggio nel 2006. Spesso davanti al pubblico per un Q&A molti mi dicevano che il mio film gli ricordava un regista o un altro. E io rispondevo: “Scusa ma non li conosco, sono molto esterno a queste cose anche come spettatore”. Non avevo visto così tanti film all’epoca, ma spinto anche dai paragoni della gente mi sono convinto a guardare i lavori dei registi che mi nominavano. Posso dire che mi piacciono Bresson, Tarkovskij e anche molti americani come i fratelli Coen. E ovviamente diversi registi filippini, tra i quali Kidlat Tahimik e Ishmael Bernal.

Di Celso Ad. Castillo, che riprende per il film People Power Bombshell: The Diary of Vietnam Rose, cosa ci può dire?
Che era un po’ pazzo! Sicuramente un personaggio carismatico. Riuscì a convincere anche la star Fernando Poe Jr. a morire in un film, cosa che non succedeva mai.

Perché non riuscì a terminare il progetto The Diary of Vietnam Rose?
Problemi finanziari, in un periodo particolare. Le riprese risalgono al 1986, durante la People Power Revolution delle Filippine.

Come ha recuperato il materiale girato allora che sta alla base del suo film?
L’attrice Liz Alindogan aveva conservato diverse bobine di pellicola sotto il letto. Era una star emergente allora, ma la sua carriera subì un brutto colpo da quel lavoro incompiuto e lei ne rimase traumatizzata. Trent’anni dopo mi ha presentato questo materiale, voleva in qualche modo completare quel film.

Cosa ha pensato quando ha visto per la prima volta quello che era stato girato?
Ero entusiasta per il materiale, mi attirava questo pezzo del passato che poteva parlare anche del presente. E si inseriva bene nel mio modo di fare le cose, di lavorare sul found footage. Mi sono approcciato, però, con molta cautela. Lei quando ci siamo incontrati si è messa a piangere, per tanto tempo non aveva parlato con nessuno di quell’esperienza. Dovevo quindi procedere con accortezza nel coinvolgerla nel processo di realizzazione di questo lavoro.

Qual è stato il passaggio fondamentale in questo processo?
Creare la parte sonora che non c’era e ricostruire la storia di quel progetto. Abbiamo chiamato alcuni attori di allora e chiesto cosa ricordavamo della lavorazione. E poi gli abbiamo fatto vedere quel materiale, radunati in una sala, per riportarli indietro nel tempo. Gli abbiamo detto di parlare come se fossero tornati all'epoca delle riprese, usando quindi il presente. Non ci interessava che ricordassero i dialoghi, ma far emergere le stesse emozioni. Abbiamo registrato le loro storie, catalogato tutto per tema e utilizzato il parlato sulle immagini, prendendo nota di quando aprivano la bocca. Un lavoro lungo, di precisione.

Quanto c’è di John Torres e quanto di Castillo in quello che vediamo?
Diciamo metà e metà. Siamo andati alcuni giorni a fare delle riprese negli stessi luoghi e poi la decadenza, la decomposizione della pellicola l’abbiamo riportata nelle immagini digitali in modo tale che non si notasse la differenza.

Un film nel film, dove si parla anche di un altro film che è molto noto: Platoon. Qual è la connessione con il lungometraggio di Oliver Stone?
È pazzesco, ma nello stesso momento in cui stavano girando, dall’altra parte della stessa isola, Oliver Stone dirigeva le riprese del suo famoso film. E l’interprete americano che si vede era in realtà un consulente alla sceneggiatura di Platoon, diventato attore per l’occasione con Celso Ad. Castillo. Ma non è l’unico film americano sul Vietnam girato nelle Filippine, ce ne sono stati altri. A cominciare da Apocalypse Now di Coppola.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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