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Escape at Dannemora, prime impressioni: dov'è la verità?

Una serie tv che respira di realtà e cronaca dei fatti. Questo è il progetto televisivo con la regia di Ben Stiller, che prende la sua camera e la porta nel carcere di Dannemora per raccontare la morbosa vicenda di due carcerati e una donna. L'analisi della puntata pilota dice quanto basta per far sorgere quei due-tre dubbi utili a proseguire la visione.

L'occasione era delle migliori: una bella storia di evasione da un carcere con un grosso contorno di corruzione e favori. Insomma la fuga perfetta. Questo poteva essere il soggetto per un lungometraggio made in USA con il protagonista che lotta contro tutto e tutti per raggiungere la libertà, e invece la serialità televisiva, sempre alla ricerca di nuovi spunti e storie accattivanti, ha fatto suo questo reale fatto di cronaca. Nel 2015, infatti, i detenuti Richard Matt e David Sweat sono evasi dal carcere di massima sicurezza Clinton Correctional Facilty, situato a Dannemora nello stato di New York, aiutati da una dipendente della struttura, Joyce Mitchell, con cui avevano intessuto una relazione sessuale.
Da questa vicenda nasce la serie tv Escape at Dannemora che è stata riaddattata da Brett Johnson, Jerry Stahl e Michael Tolkin, sceneggiatori cinematografici con alcune 'libere uscite' nelle serie tv, prodotta dalla Red Hour films e diretta da Ben Stiller. Le divise da carcerati sono state indossate da Benicio del Toro per Matt, Paul Dano per Sweat e l'immortale Patricia Arquette per il ruolo della sgraziata Mitchell. Il risultato? Sette puntate trasmesse a partire dal 18 novembre scorso dal canale Showtime e da Sky Atlantic in Italia. Non resta che porre Escape at Dannemora sotto la lente di ingrandimento della nostra analisi, a partire, come sempre, dall'episodio pilota.

È solo una questione di sesso (?). La prima puntata si apre con un interrogatorio. Una donna ammanettata è immersa nelle lacrime e fa fatica a parlare. È il giugno 2015. Questa è, infatti, incalzata dalle domande di un'altra donna, un ufficiale giudiziario che, alla presenza di una dattilografa, interroga la detenuta sulla relazione tra lei e due uomini, chiedendole in particolare se tale rapporto fosse prettamente sessuale. L'interrogata nega categoricamente che tale relazione avesse questa natura. Gennaio 2015. Si scopre che la protagonista della scena precedente è Tilly, la quale lavora, insieme al marito, nel carcere a Dannemora. Il suo compito è supervisionare la sartoria e organizzare la produzione tessile condotta dai detenuti. Tra questi David Sweat è il suo principale collaboratore con il quale, con una scusa, si ritira in una stanza privata in cui i due si uniscono in un amplesso. Di ciò si accorgono molti detenuti, ma uno in particolare fa presente a Sweat che tale relazione può portare ad alcuni problemi, per la presenza del marito della donna nella stessa struttura. Chi parla è Matt. Minuto 20 della puntata pilota. I protagonisti si sono presentati e il quesito iniziale è stato proposto: è veramente una questione solo di sesso tra i due? Ossia tra Tilly e Sweat c'è solo una pulsione oppure ci sono dei sentimenti o questa relazione è manipolata dall'uomo per ottenere qualcosa, considerando anche lo scarso fascino della donna? Il prosieguo alimenta questi dubbi. A metà della puntata c'è il primo elemento di rottura della situazione iniziale: Sweat si rifiuta di proseguire nel rapporto, intimorito da quanto dettogli da Matt. Tilly, così, si adombra e in un dialogo con il marito, che la incalzava a riguardo di alcune voci che circolano su di lei nel carcere, risponde manifestando la sua volontà di ricerca di affetto e di far emergere la sua femminilità. Il pilota, quindi, propone il quesito della serie che è sostenuto dalla caratterizzazione dei personaggi.sua 

Tre personaggi per tre storie. O una sola? Escape at Dannemora non propone delle linee narrativa specifiche, bensì si focalizza sui personaggi. Sweat, Matt e Tilly, infatti, sono i tre personaggi, ognuno con le proprie dinamiche, accomunati dal lavoro in carcere e nel caso di Sweat e Tilly dalla loro fugace passione. Matt dal canto suo è una sorta di padrino della prigione. Ha continui dialoghi con una guardia, a cui chiede favori per gli altri detenuti. Dipinge, parla lentamente, non si scompone per nulla e ha uno sguardo sinistro e altezzoso, tipico di una persona che sa ciò che vuole. Poi ogni tanto guarda oltre le finestre della sartoria e vede la città e si perde a fissare il mondo. Sweat dal canto suo vorrebbe essere furbo, ma forse non lo è abbastanza. Fa sesso con la donna, però al primo avvertimento si defila, perché non sa nemmeno lui cosa vuole. Appare, infatti, perso tra Matt e Tilly. Questa, come detto, è stufa della sua vita e desidera altro. Forse si è presa una cotta per il giovane carcerato, ma se fosse invece innamorata di qualunque uomo le concedesse giusto un po' di attenzione? Insomma in apparenza tre caratterizzazioni differenti che in realtà si intrecciano perfettamente. Nel suo mettere in guardia Sweat, infatti Matt in realtà, forse, sta progettando qualcosa per il suo tornaconto, per la sua libertà, che comprende anche la donna. La scena finale della puntata lascia intendere che qualche pensiero è ben presente nella mente. 

Ben Stiller è un attento osservatore. Tutti i dubbi emersi dalla puntata pilota sono proposti e consolidati dalla regia di Stiller. La sua camera, infatti, rimane sempre molto vicina ai tre protagonisti, inquadrando in orizzontale Tilly e Sweat e invece un po' più dal basso Matt, come a indicare allo spettatore chi sia veramente il personaggio da tenere maggiormente in considerazione. Nei dialoghi, poi, il regista si posiziona sempre sui visi dei protagonisti e li avvolge in un campo e controcampo fitto e tagliato, spesso ponendo in filigrana dell'inquadratura la rete metallica del carcere o le macchine da cucire nelle riprese all'interno della sartoria, per proporre sempre il contesto della storia. Nelle riprese, inoltre, all'interno di quest'ultimo luogo la camera spazia un po' di più, per portare chi osserva all'interno della scena e mostrargli le dinamiche tra i tre protagonisti. La regia, dunque, di Stiller è quindi ben calibrata sulla creazione di uno stato di attesa, di flebile tensione, di sospensione silente in attesa dell'evento scardinatore. Per questo, quando esce dal carcere, la camera allarga l'obiettivo e inquadra il contesto, la città di Dannemora, teatro e forse protagonista della vicenda.

Il pilota di Escape at Dannemora ha detto questo. Non tantissimo, ma forse è meglio così. È infatti preferibile attestarsi su pochi concetti per svilupparli con la giusta misura. A gennaio per le conclusioni e soprattutto per capire dove si colloca la verità.





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Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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