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Venezia 79, giorno 9: cronache di cinema e non solo

Un resoconto fatto di news, rumors, eventi, volti, chiacchiere, battute, dichiarazioni e ovviamente cinema per spiegarvi bene cosa significa vivere ogni giorno la 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Oggi parliamo di Blonde, di quel filibustiere di Andrew Dominik e di un outsider che ha conquistato la stampa

E a Venezia 79 arriva il film che non ti aspetti. Ieri è stato presentato in concorso Saint Omer, opera prima della regista francese di origine senegalese Alice Diop che ha conquistato la critica. Sul pagellino di Ciak In Mostra, il tanto amato pagellino, fioccano sia da parte della stampa italiana che di quella internazionale cinque, quattro stelle (il massimo della votazione è cinque, per intenderci); solo tre testate sulle nove votanti hanno assegnato votazioni inferiori: El Pais e Rzeczpospolita gli hanno assegnano tre stelle, che non è male, e Frankfurten Rundshau due stelle e mezzo. Anche la stampa italiana non si è risparmiata e come voto più basso si segnalano le tre stelle di Repubblica, Il Foglio e La Nuova Venezia, con una media totale comunque lusinghiera di 3,7 stelle (Bones and All rimane il film con la media più alta, 3,9). Se del pagellino vi parleremo domani e lo interrogheremo in attesa della votazione dell’ultimo film in concorso No Bears di Jafar Panahi, ora vogliamo restare un po’ sul film della Diop. La trama di Saint Omer ruota attorno a un fatto di cronaca, l’infanticidio, trasformandolo in un dramma processuale ambientato nel tribunale di Saint Omer nel dipartimento di Calais. Il punto di analisi che la regista conduce ha gli occhi di Rama, interpretata da Kayije Kagame, giovane scrittrice che segue il dibattimento per trovare spunto per la sua rivisitazione letteraria del mito di Medea. La donna, inoltre, è incinta di quattro mesi e il comportamento ostile dell’accusata, Laurence Coly (Guslagie Malanda), rea confessa in quanto ha abbandonata la figlia di quindici mesi all’arrivo dell’alta marea su una spiaggia nel nord della Francia, la porterà a ripensare la sua stessa idea di maternità. Questo punto di analisi, questa conduzione da parte della regista di una visione non pienamente morale del fatto di cronaca, non giudicante, ma l’essere concreta, reale e simbolica, sono le caratteristiche che hanno conquistato il pubblico di Venezia 79. Non c’è insensibilità nella elaborazione della Diop, seppur la vicenda sembri ripulita del senso di colpa. Insomma Saint Omer ha davvero sconquassato gli animi sopiti del concorso e conquistato quasi tutti. Resta da capire che ne ha pensato la giuria, ma per questo vi rimandiamo alla cronaca di sabato, quale conclusiva in cui cercheremo di lanciare le nostre previsioni, interpretando le sensibilità dei giurati. 

E poi arriva Blonde. È arrivato al Lido, in concorso, il tanto atteso film di Andrew Dominik su Marilyn Monroe o per meglio dire su Norma Jeane. La pellicola è basata sull’omonimo romanzo del 2000 di Joyce Carol Oates che, però, Dominik non ha mai mai incontrato, come affermato da lui stesso in conferenza stampa. Non è stato facile realizzare Blonde: le riprese sono iniziate nell’agosto del 2019 e pare che prima ancora del primo ciak il personaggio della divina fosse nelle mani di Jessica Chastain; poi, interrotto il rapporto per motivi da definire, il regista pensava di affidarlo a Naomi Watts, per poi innamorarsi di Ana de Armas durante il provino. A tal proposito ha affermato:”Al provino è stato un po’ come un amore a prima vista: il film ha preso vita quando l’abbiamo trovata. Ci assomiglia molto: naso, occhi, sorriso”. A riguardo, invece, dell’icona MarylinDominik ha affermato:“la dea dell’amore americana del XX secolo” e poi ancora: ”Bella, famosa, con un lavoro ottimo e i partner più cool: tutto quello che si vorrebbe essere, ma anche vulnerabile”. In merito alla sua scomparsa, ha detto: “Un incidente, un’overdose, che è una forma di suicidio, io non credo all’omicidio. Essere un oggetto del desiderio può rivelarsi pericoloso, tanti ne sono stati distrutti. Perché la tua fama sta nella fantasia, nell’inconscio delle persone”.  Il regista si è presentato a Venezia 79 in compagnia di Andrien Brody che nel film interpreta Arthur Miller e appunto di Ana de Armas. Questa ha detto: “Non ho fatto Blonde perché altre persone cambiassero le loro opinioni su di me. Qualunque cosa accada, è l’esperienza che porto con me. Questo film ha cambiato la mia vita, ora sarà quello che sarà”. Il film uscita su Netflix il 28 settembre e sarà vietato ai minori di 17 anni.

Veniamo al film. Andrew Dominik ha basato il suo racconto molto fedele della vita di Marylin partendo dalla sua infanzia, traumatica, tribolata, angosciante, pericolosa, asfissiante passata in compagnia della madre che sviluppa una forma di odio nei confronti della figlia, Norma Jeane, perché la accusa di essere stata il motivo dell’abbandono da parte del padre. La donna impazzisce, in una scena che lascia senza respiro in cui le fiamme che circondano la sua casa sembrano davvero provenire dagli inferi, e quindi la piccola Norma è affidata all’orfanotrofio. Successivamente nasce e si consolida il personaggio di Marylin che non è ritratto come una componente del sistema cinematografico hollywoodiano degli anni Cinquanta e Sessanta, ma come un oggetto sessuale, un pezzo di carne, come lei stessa nel film spesso si riferisce, da usare, abusare e ottenere. Questo vuole sottolineare Dominik l’essere donna dell’icona in un mondo maschilista, testosteronico, fallocentrico che usa le macchina fotografiche (impressionante il rumore dei flash che esplodono e rimbombano nelle orecchie) con carattere morboso, perverso e penetrante. I fotografi volevano vedere le forme, il sorriso, il corpo di Marylin e non l’essere umano femminile, la sua anima, la sua testa, la sua psiche. Questo è il primo piano di analisi a cui Dominik associa quello di Norma che si esprime nei pensieri della donna, nei suoi sacrifici, ben tre aborti, nei soprusi che subisce a partire dalla relazione con Charlie Chaplin Jr ed Eddy G. Robinson Jr., passando per il possessivo Joe Di Maggio, il presidente Kennedy e tutti i vari attori, registi, direttore di casting che ha incontrato nella sua vita. L’unica figura salvifica è Miller che il film ritrae come il solo che abbia capito intimamente l’anima della divina. Doppio binario di analisi che si compenetra e si intreccia in un film psicologicamente violento e massacrante per quanto concerne la sopportazione delle violenze subite da Marylin. A peggiorare c’è la speranza nutrita da Norma di incontrare finalmente suo padre e di avere, come lei non ha avuto, una famiglia.

Anche Blonde affronta il tema famigliare mostrando un nucleo di affetti che non esiste e che lei sembra condannata a non poter avere. La Armas è gestita con maestria da Dominik; le fa indossare principalmente due espressioni, un sorriso smagliante, civettuolo, ammiccante, quello di Marylin, quello che volevano i media, e uno più triste, amareggiato e sconfitto, vulnerabile e fragile, ossia gli occhi di Norma. Il film, pertanto, è Dominik. La sua regia è brillante e non lineare, fissa o retorica; utilizza diversi stili, diverse modalità di ripresa, a tratti con un po’ di leziosità, per condurre lo sguardo dello spettatore a vedere quello che deve vedere. A ciò si associa, il perfetto sonoro che si esprime nelle risate di scherno roboanti, negli schiaffi, nelle cadute, nelle voci viscide oltre che nel passo delicato di Marylin; la musica, giustamente in grado di porre l’accento; il montaggio che crea un unico grande racconto grazie a dissolvenze che si aprono sulla scena successiva o accostamenti di immagini. Infine, la fotografia, la luce, la visione sempre cristallina, precisa, avvolgente quando Marylin trionfa e allo stesso tempo aspra quando cade nella solitudine. Il film, inoltre, è girato metà in bianco e nero e metà a colori (la cesura è l’incontro con Miller). A riguardo il regista ha affermato: “Si parte dalla ricreazione esatta di immagini e film con lei che esistono, dunque bianco e nero o colore dipende dall’abbrivio”. La base di ricostruzione, infatti, è perfetta e Domink utilizza proprio le foto, gli spezzoni dei film, gli scatti rubati come base narrativa e concettuale di Blonde. Sembra voler dire: parto dal mito, per raccontarvi la donna. Insomma il film ci ha convinto e sinceramente da Andrew Dominik ci aspettavamo proprio un film così che fagocita lo spettatore al suo interno e gli fa toccare l’inferno di vita dell’icona per le 2 ore e 45’ della sua durata. L’unica pecca è il finale che risulta un po’ miserello a fronte dell’esposizione della narrazione precedente, ma è giustificabile nell’ottica della sottrazione a cui Norma era andata incontro a un certo punto della sua esistenza. Domani vi parleremo di come l’ha valutato la stampa. In ogni caso Blonde rimane un buon film. 

Non abbiamo visto solo Blonde, giusto per chiarire. Vi segnaliamo la visione di Luxembourg, Luxembourg di Antonio Lukich inserito nel programma di Orizzonti. Due fratelli gemelli ucraini vivono senza il loro padre. Uno è divenuto un brillante poliziotto, seppur soffra la presenza ingombrante di un super suocero; l’altro è un autista di autobus più incline alla delinquenza che cerca di fare il grande uomo, ma non ci riesce. Il primo, inoltre, non ha una grande considerazione del padre che li ha abbandonati, mentre il secondo vive nel suo ricordo e quando ricevono la notizia che il loro papà sta morendo in Lussemburgo, decidono di prendere la macchina e andare a salutarlo. Arrivati nell’ordinato Paese, però, si presenta un’altra realtà e il motivo principale del viaggio si trasforma. Opera seconda per il regista ucraino che riflette sul valore della famiglia, sui miti che si creano nelle famiglie soprattutto in riferimento ad alcuni parenti e sul rapporto tra i due fratelli gemelli, così identici nell’aspetto, e così diversi, che impersonificano le due facce dell’animo umano, quello razionale e quello più intristito. Il film troppo spesso punta un po’ troppo sulla comicità non sempre rispettando i giusti tempi, quindi si ride, ma non tutte le volte in cui si dovrebbe. Questa continuità spinta al comico conduce Luxembourg, Luxembourg a intrattenere sì, e, al contempo, a lasciare poco spazio alle deduzioni morali e filosofiche. I due attori che interpretano i fratelli gemelli, Amil Nasirov, Ramil Nasirov sono la scoperta più interessante.

Domani arrivano il film di Jafar PanahiChiara di Susanna Nicchiarelli e l’ultimo film francese in gara Les miens di Roschdy Zem (è una sorpresa per le Mostre degli ultimi anni avere ancora così tanti film in concorso gli ultimissimi giorni. Gli altri anni, dopo il mercoledì, la Mostra chiudeva i battenti del concorso) poi il concorso si chiude. Da domani cominciano le valutazioni e le previsioni di quanti e a chi saranno assegnati i Leoni. Intanto vi lasciamo e vi ricordiamo di scriverci come sempre a staff.linkinmovies[at]gmail.com. A domani!


Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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