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Venezia 79, giorno 5: cronache di cinema e non solo

Un resoconto fatto di news, rumors, eventi, volti, chiacchiere, battute, dichiarazioni e ovviamente cinema per spiegarvi bene cosa significa vivere ogni giorno la 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Oggi parliamo di pagelle e pagellini, di The Kiev Trial e ancora (brevemente) di Paul Schrader

Ieri sera, circa attorno alle 22 abbiamo lasciato Paul Schrader visibilmente commosso ricevere il Leone d’oro alla carriera dalla mani di Sigourney Weaver. In sé il momento è stato molto delicato, perché il regista americano era impacciato ed emozionato, ancorato ai grandi occhiali da sole che indossava. Poco prima, inoltre, il suo grande amico Martin Scorsese è apparso in video, tessendo un ritratto molto personale e intimo del caro Paul. Scorsese ha rimarcato il rispetto come artista che nutre nei suoi confronti, ha detto che nessuno come lui è saputo crescere come regista di film in film ed è stato in grado di lavorare nell’industria cinematografica americana con budget molto bassi e in mille difficoltà; è sempre, però riuscito a trovare una soluzione, realizzando, così, il film che voleva. La laudatio della Weaver ha, poi, ripreso le parole di Scorsese, rimarcando l’essere anticonformista di Schrader, addirittura dicendo che è un faro per chi non vuole sottomettersi ai giochi di potere, che è anticonvenzionale e sempre molto originale nei suoi film. Il Leone d’oro ha seguito questi interventi seduto nella sua poltrona, per poi salire sul palco, ricevere il premio e dire al mondo che per come è lui oggi ringrazia Dio e la sua famiglia. Poi ha elencato alcune figure, che hanno forgiato la sua sensibilità e che l’hanno sostenuto nel corso della sua vita. Infine, riprendendo le parole della canzone finale di Master Gardener, ha detto: “Non voglio lasciare questo mondo senza dire al mondo ti amo”. 
Oggi, domenica, la commozione è passata e Schrader si è presentato di fronte ai microfoni per la sua Masterclass accompagnato da Giulia D’Agnolo Vallan. La sua voce, roca e soffocata a volte, ha raccontato la sua idea di cinema, le sue esperienze come regista e come sceneggiatore, la sua poetica e pensiero nel fare film. Poi ha risposto anche ad alcune domande del pubblico in merito alla scrittura di una sceneggiatura. A tal proposito ha affermato: “Una regola che ho per scrivere consiste nel far passare molto tempo prima di passare alla scrittura. Pensateci a lungo, tantissime volte, allora si innescherà un fenomeno: o l’idea morirà da sola oppure magari scrivete e la sceneggiatura stessa vi dirà ‘Basta!’ perché ultimata”. Poi ha aggiunto: “Se l’idea è buona, settanta pagine di sceneggiatura sono più che sufficienti“, e qui si riferiva a Taxi Driver, dichiarandosi contento di non averlo diretto, anzi di aver appreso molte lezioni sul cinema guardando oltre la spalla del piccoletto, Scorsese appunto. A riguardo di questo capolavoro Schrader ha anche detto: “Taxi Driver rappresenta in realtà come non si deve scrivere una sceneggiatura, se si vogliono rispettare le regole. L’unica regola che forse esiste è quella della tradizione orale: perché le sceneggiature e i film non sono letteratura, sono storie. Un film si basa su una storia che si racconta. Potrei intrattenervi qui con una storia che potrebbe diventare un film, ma non è letteratura. Al centro c’è l’atto di raccontare storie, per cui lasciate che l’idea si riposi”. Grazie Paul anche per questo!

Pagellino delle mie brame, chi è il più bravo del reame? Eccoci finalmente giunti a un momento tanto atteso: lo studio del pagellino con i voti della carta stampata ai film di Venezia 79. Sì lo sappiamo, la domanda che vi siete posti è: “Ma nel 2022 ancora è necessario interpellare critici e giornalisti, italiani e internazionali, di riviste specializzate e quotidiani per capire l’andamento dei film della Mostra?”. Avete sicuramente ragione! La nostra risposta già la conoscete, perché abbiamo già espresso molte volte il nostro punto di vista a riguardo. Evidentemente nei dintorni di Ciak, che coordina il pagellino, e forse anche de La Biennale, è più autorevole un parere di un giornalista di un quotidiano (questo vale soprattutto per il pagellino italiano) che magari allargare la visuale anche ai siti web specializzati e a occhi più allenati a vedere tutte le visioni del cinema. Poi ricordate che il film che prende la media voti più alta nel pagellino, di solito non vince mai il Leone d’oro! In ogni caso, questo pagellino abbiamo e questo valutiamo. Alla domenica i film del concorso votati da entrambe le giurie sono: White NoiseBardoTàrA CoupleBones and AllAthenaAll the Beauty and the BloodshedMonicaArgentina 1985Per la parte italiana al momento la media voti più alta appartiene al film di Guadagnino con 3,9 stelle di media, abbastanza alta. Il film ha praticamente convinto tutti con l’esclusione di Federico Pontiggia che gli ha assegnato solo due stelle e mezzo. Subito dopo si posizione con una media di 3,4 stelle il film argentino, e con 3,2 stelle il film di Gavras. A scendere tutti gli altri fino all’ultima posizione ricoperta ad oggi, dal film di finzione del maestro Wisemann che ha scontentato tutti tranne il giornalista de Il Manifesto (che gli assegna addirittura 5 stelle), Ferzetti e Mereghetti. La stampa internazionale, dal canto suo, ha premiato con ottime votazioni Tàr, il documentario su Nan GoldinArgentina, 1985. Ha invece affossato Monica (che non ha raccolto la votazione di Film verdict, The Wrap, The Observer), A Couple e Bardo a cui il giornalista di Le Monde assegna solo una stella, esattamente come ad Athena, chissà come mai questo voto così basso al film che mostra le profonde problematiche sociali della Francia? Non ce lo spieghiamo! Bones and All è piaciuto, bene o male, a quasi tutti, mentre il film di apertura si è mantenuto su delle votazioni mediocri (ricordate il nostro discorso sul mancato azzardo nel film di apertura da parte di Barbera? Forse siamo gli unici a pensarla così?). Queste votazioni non esprimono molto di più di questo; considerazioni ne possiamo fare moltissime sui gusti, sulle fatture dei film, sul cinema di Venezia 79 in generale, ma in realtà questo pagellino è solo un gioco che permettere di confrontarsi e discutere. Se non siete d’accordo con queste votazioni, scriveteci senza problemi. 

La voce della sala conferenze stampa. Oggi sono stati presentati tre film in concorso, Les enfants des autre di Roberta Zlotowski, L’immensità di Emanuele Crialese, The Whale di Darren Aronofsky, più il documentario di Sergei LoznitsaThe Kiev Trial. Andiamo con ordine. Il film della Zlotowski pare che abbia scontentato tutta la stampa, ma davvero tutta, perché non è chiaro il senso (forse riuscirà a battere A Couple come film meno votato nel pagellino?) del film in sé e della sua presenza nel concorso. Noi non abbiamo visto né il film, né seguito la conferenza stampa, quindi ci limitiamo a segnalarvi questo.
Per quanto concerne L’immesità, il regista ha affermato di aver sognato un giorno di essere abbastanza maturo per poter raccontare questa storia, con la consapevolezza del giusto linguaggio. Poi ha aggiunto: “Mi sono concesso una libertà espressiva, non propriamente di rivelazione, che fa seguito a delle scelte consapevoli di affrontare ciò che mi sta più a cuore: il tema della libertà”. È un film sulla sua memoria, sui suoi ricordi, sulla famiglia. Nella Roma degli anni Settanta Clara (Penélope Cruz) e Felice (Vincenzo Amato) si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Non si amano più, non riescono, però, a lasciarsi e a tenerli uniti ci sono soltanto i figli su cui la madre riversa tutto il suo istinto di libertà. Adriana (Luana Giuliani), la più grande, ha dodici anni e rifiuta il suo nome, la sua identità e vuole convincere tutti di essere un maschio, arrivando a creare una rottura nella famiglia. In merito a questo Crialese ha affermato che in questo nuovo film parla di un “percorso, uno spostamento, una transizione: ma il tema principale non è quello dell’identità di genere, piuttosto ruota intorno al discorso della relazione, di come possiamo cambiare”. Poi ha aggiunto: “Noi siamo quello che siamo perché lo siamo, ma se l’altro non fosse presente in che misura e in che modo esisteremmo? L’identità è relazionale, nel caso di questo film è un racconto che si esprime attraverso la relazione dei figli con i genitori, figli di una relazione dove l’amore non esiste più. E questo disorientamento i bambini lo esprimono attraverso il proprio corpo”. Insomma L’immensità condensa i due filoni narrativi, famiglia e identità, che per ora abbiamo individuato nei film di Venezia 79.

Infine tocca ad Aronofsky. Il buon Darren si è come sempre dimostrato molto disponibile e ha ringraziato con grandi parole la Mostra e Venezia per la possibilità che gli concede di presentare i suoi film. Il suo The Whale  è la storia di un solitario insegnante di inglese, Charlie (Brendan Fraser) che soffre di obesità grave e cerca di riavvicinarsi alla figlia adolescente, per un’ultima possibilità di redenzione. “Il casting di Charlie è stato una sfida, ho provinato ogni attore ma nessuno mi dava l’idea di essere quello giusto, finché non ho visto il trailer di un film low budget brasiliano con Brendan ed ecco l’illuminazione. Ho avuto i brividi vedendolo interagire con Sadie Sink nelle prove a teatro, e nel 2020 in piena pandemia lo abbiamo fatto, un piccolo film gentile con cinque attori”. Come Schrader, anche Aronofsky è, infatti, abituato a girare con molte difficoltà e con budget ristetti. “Ho cominciato a fare cinema con 20mila dollari e un sogno, dunque i nostri limiti sono la nostra via per la libertà. Qui la sfida è stata di rendere cinematico un personaggio che non si muove, e al riguardo ho discusso molto con il mio sodale direttore della fotografia, Matthew Libatique.” Fraser dal canto suo è stato sottoposto a una prova attoriale stremante a riguardo della quale ha dichiarato: “La mobilità Charlie si limita al sofà, il suo trauma si manifesta a livello fisico. Ho dovuto imparare a muovermi in modo nuovo, usando muscoli nuovi, e avevo le vertigini: bisogna essere particolarmente forti fisicamente e mentalmente per abitare quello spazio fisico”. Ha concluso, dicendo, “Charlie è eroico, ha il superpotere di vedere il bene negli altri, e riesce a farlo riemergere in lui, ed è il processo in cui si salva”.

E ora parliamo di The Kiev Trial. Come sempre capita quando il documentarista di origine ucraina approda alla Mostra, o in qualunque altro festival, insegna qualcosa, in particolare come l’uomo non ascolta la Storia. The Kiev Trial, presentato Fuori Concorso, ricostruisce il processo di Kiev, uno dei venti processi pubblici contro i criminali nazisti che si tennero in Unione Sovietica dopo la Seconda guerra mondiale. Come sempre i documentari di Loznitsa sono di montaggio, recuperando materiali d’archivio. In questo caso mostra al pubblico di oggi un momento importante per la storia dell’Ucraina e Kiev in quanto il processo celebrato dopo la Seconda Guerra fu fatto nella Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, sotto legge militare ucraina e il pubblico ministero rappresenta il popolo dell’Ucraina. E come tutti i processi celebrati in Unione Sovietica si sono conclusi con un’esecuzione pubblica dei condannati, come monito per la popolazione. Loznitsa ha voluto includere queste scene nel documentario proprio per sottolineare il messaggio di vendetta da parte dell’URSS nei confronti di chi li sfidava e la popolazione voleva questo. The Kiev Trial immerge, pertanto, gli spettatori nell’atmosfera del tempo, ponendoli a testimoni del processo, mostra direttamente loro quanto è accaduto; la storia del film, infatti, segue i verbali del processo e i filmati sono stati montati seguendo i verbali, senza musica, né commenti. Vedere i documentari di Loznitsa è sempre arricchente. 

A domani, cari lettori. Domani arriva Lav Diaz!


 

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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