Stalingrad - Recensione
- Scritto da Paolo Villa
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E’ l’autunno del 1942, e in una Stalingrado dilaniata dai bombardamenti della Luftwaffe le truppe tedesche hanno occupato la sponda sinistra del fiume Volga. Le truppe sovietiche tentano una controffensiva notturna, attraversando il fiume per entrare in città cogliendo di sorpresa i tedeschi, ma l’operazione non sortisce gli effetti sperati. E quando una manovra militare ha esito negativo, questo significa morti, molti morti, e successiva ritirata: la guerra è così. I film di guerra, anche loro, spesso sono così. Attacchi e ritirate, vittorie e sconfitte, facce diverse della medaglia che ha i volti dei contendenti.
Tuttavia la guerra non è solo manovre tattiche, coordinate, ma è anche difesa casa per casa, piccole storie particolari che si raccolgono in un unico flusso per raccontare, nei libri di storia o nei filmoni bellici, la Guerra tutta intera, come fosse un unico organismo complessivo, complesso. Queste piccole storie sono il pane quotidiano per il cinema di guerra, e Fedor Bondarchuk che del genere non è un neofita (di lui ricordiamo il bel The 9th Company) conosce bene e sfrutta questo filone nel suo Stalingrad. Così, il film ci racconta di un manipolo residuo di soldati dell’esercito sovietico rimasti sulla riva sinistra del Volga a difendere con tutto quello che hanno a disposizione un avamposto e la ragazza che ancora ci abita, ostinata, in mezzo alle bombe e ai fuochi che costellano la città.
Esteticamente e storicamente molto curato nella ricostruzione della Stalingrado contesa di quegli anni, il film di Bondarchuk ha la resa visiva del blockbuster hollywoodiano, ma anche una spinta anti-classica e originale nel modo in cui approccia l’eroismo e la guerra, in primis nella rappresentazione umana dei soldati sia sovietici che tedeschi (in patria il film ha suscitato polemiche appunto per il suo apparire troppo morbido con questi ultimi), esseri senzienti, coi loro pregi e difetti, più che cartonati di personaggio tipico di molto genere bellico.
La storia di Stalingrad è una storia di eroismo che sai già come finirà, anche se sorprendentemente viene narrativamente inserita tra le parentesi temporali marcate dal terremoto del marzo 2011 nel Nord del Giappone, ma che comunque riesce a tenere ben attaccati alla poltrona e allo schermo per gran parte delle scene.
Di pregio particolare sono le sequenze di azione bellica (in cui il 3D acquista un senso), non lunghissime ma crude, ben coreografate e capaci di imprimersi visivamente nella memoria, e le prove di tutti gli attori. Non fa nulla se nell’oretta finale si ha spesso l’impressione che il brodo venga un po’ troppo allungato in intermezzi al limite del sentimentale che coinvolgono i personaggi in modo asimmetrico, Stalingrad è film di guerra come si deve, e come se ne vedono pochi sugli schermi, di recente.