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I migliori film del 2015: ecco i magnifici dieci

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I film più belli del 2015 - ClassificaFine anno, tempo di bilanci. Il 2015 raccontato dalla redazione: un po’ per gioco, un po’ per ‘vocazione cinefila’, abbiamo deciso di stilare l’immancabile classifica dei dieci film più belli dell’anno appena trascorso, nella speranza che alcuni titoli possano essere (ri)scoperti





Le scelte di Massimo Volpe (in ordine di gradimento)

The Assassin, Hou Hsiao-hsien
Behemoth, Zhao Liang
Francofonia, Aleksandr Sokurov
Uncle Victory, Zhang Meng
0.5 MM, Momoko Ando
Corn Island, George Ovashvili
Mountains May Depart, Jia Zhang-ke
Eva no Duerme, Pablo Agüero
Underground Fragrance, Song Pengfei
The Taking of Tiger Mountain, Tsui Hark
La Isla Minima, Alberto Rodriguez

Menzione speciale: Toilet Stories di Soren Huper e Christian Pettin, Tangerine di Sean Baker, Mia Madre di Nanni Moretti

2015: l’anno dei mancati capolavori… per le Giurie. C’è stata in questo 2015 che si conclude una inquietante e curiosa coincidenza che ha di fatto improntato tutto l’anno cinematografico: nei due Festival più prestigiosi, quello di Cannes e quello di Venezia, pubblico e critica hanno decretato trionfi da autentici capolavori opere che le Giurie hanno invece o ignorato completamente o insignito di riconoscimenti secondari.
Cannes assegna la Palma d’oro all’appena discreto Dheepan - Una nuova vita di Jacques Audiard, capolista dei lunghi riconoscimenti decretati al cinema francese, e relega al Premio per la Regia The Assassin di Hou Hsiao-hsien, uno tra i lavori più belli degli ultimi anni, lasciando invece a bocca asciutta Jia Zhang-ke con Mountains May DepartCarol di Todd Haynes.
La Giuria della Mostra del Cinema di Venezia invece ignora totalmente Behemoth di Zhao LiangFrancofonia di Aleksandr Sokurov, da pubblico e critica unanime anche qui considerate opere di grandissimo spessore, in favore di un interessante opera come Ti guardo - Desde Alla di Lorenzo Vigas ma tutt’altro che memorabile.
Tutto ciò sarebbe nulla visto che palmares poco convincenti hanno sempre fatto discutere dopo i grandi appuntamenti festivalieri. Quello che però preoccupa e che sta alla base di queste decisioni è l’allarmante preconfezionamento delle selezioni ufficiali su criteri che ai più sfuggono: abbiamo sentito parlare di annata fenomenale, che nessuno ha visto, per il cinema francese (ed ecco una pletora di film francesi in concorso e ovviamente premiati a Cannes), di grande ascesa del cinema sudamericano a fronte di un’annata deludente per il cinema asiatico (ed ecco la vittoria venezuelana e cilena a Venezia); insomma l’impressione che almeno nelle due grandi rassegne si segua un percorso tutto personale e in buona parte oscuro sia nella selezione che nell’assegnazione dei premi è più che tangibile.
La valutazione personale di questa annata cinematografica risulta comunque pienamente positiva, dominata da tre lavori che tutti, a modo loro, possiedono uno spessore notevolissimo: la disamina dalle forme dantesche di Zhao Liang con Behemoth sul comportamento dell’uomo intriso di avidità che segna un nuovo punto fermo di partenza della forma visiva cinematografica, la visione personale dell’arte e della storia da parte di Aleksandr Sokurov con un lavoro personalissimo e ricco di stile e soprattutto la nuova opera di Hou Hsiao-hsien The Assassin, attesa da anni, che va a delimitare nuovi confini per il genere wuxiapian così come lo furono A Touch of Zen di King Hu e Ashes of Time di Wong Kar Wai.
Dietro di loro, in ordine sparso: grandi maestri che confermano la qualità dei loro lavori, in una ottica di evoluzione stilistica, come Jia Zhang-ke con Mountains May DepartTsui Hark con The Taking of Tiger Mountain; autori in ascesa come Zhang Meng che con Uncle Victory conferma quanto di buono fatto vedere col suo lavoro d’esordio, grazie ad una personale e non ovvia visione della realtà del proprio Paese; altri giovani come Momoko Ando con 0.5 MMPablo Aguero con Eva no Duerme che sono stati capaci di dare ai loro lavori una impronta personale, di forma e di sostanza, partendo da storie, che per motivi opposti, si presentano esilissime. La grande sorpresa è stata il bellissimo Corn Island del georgiano George Ovashvili, opera ermetica dal grandissimo impatto visivo e dalle vibranti emozioni, così come ha abbagliato per la sua durezza realista rivisitata in modo originale il cinese Song Pengfei con Underground Fragrance, per finire con un lavoro di genere, La Isla minima di Alberto Rodriguez, che rivitalizza il thriller contaminato da suggestioni storiche recenti, grazie ad una storia che si agita con grande efficacia giocando con lo spazio temporale.
Fuori dai primi dieci canonici, ma degni di una menzione speciale ci sono: Mia Madre di Nanni Moretti, se non altro perché risultato il miglior film italiano dell’anno, l’originalissimo e ricco di sarcasmo non dozzinale Toilet Stories di Soren HuperChristian PrettinTangerine di Sean Baker che dimostra come il cinema indipendente americano esista anche al di fuori degli esercizi snob e salottieri.
L’augurio, come sempre per chi ama il Cinema, è che il 2016 possa essere migliore di questo già apprezzabilissimo 2015.


 

Le scelte di Davide Parpinel

The Tribe, Myroslav Slaboshpytskiy
Sorpresa dell'anno n.1. Il film è stato prodotto nel 2014, ma è arrivato in Italia nel 2015 grazie alla lungimiranza del Far East Film Festival. È scioccante, intenso, affascinante: si rimane increduli di fronte l'universo di violenza e brutalità che domina una scuola per giovani sordomuti. Il regista ucraino descrive l'inferno, senza parole, suoni o musiche, ma lasciando che la sua macchina da presa segua i movimenti e le dinamiche dei giovani protagonisti. Immagini che raccontano più di mille parole.

Corn Island, George Ovashvili
Sorpresa dell'anno n.2. Altro sconfinamento in una produzione del 2014, per un film arrivato in Italia grazie al Trieste Film Festival per poi giungere nelle sale in piena estate. Corn Island è poesia. È una storia delicata e raffinata del rapporto tra l'uomo e la natura, di una famiglia che sopravvive in un mondo di valori negativi. È una narrazione che riconcilia con il mondo e incanta per la sua semplicità.

Uncle Victory, Zhang Meng
Sorpresa dell'anno n.3. Uncle Victory è un affondo nella Cina industriale e tagliente. Il protagonista è un perdente, uno sconfitto che, però, non si arrende e ricorda allo spettatore quanto valori, principi e l'aiuto dell'uomo siano importanti nella contemporaneità.

Vanishing Point, Jakrawal Nilthamrong
Una delle opere prime più sorprendenti dell'anno. La storia non ha uno sviluppo lineare, è un incastro di piani narrativi legati insieme da un linguaggio filmico maturo per appartenere a un giovane regista. Oltre al film, rimane la riflessione della pellicola sull'imprevedibilità della vita.

Desaparadiso, Khavn de la Cruz
Il nuovo film del prolifico regista filippino è un enigma che si articola in un'apparente nonsense. In ciò risiede il suo valore che riesce a illustrare meglio di una narrazione lineare il dramma storico della dittatura del generale Marcos. Il dolore e l'angoscia dei protagonisti hanno un impatto sconquassante per chi guarda.

Sangue del mio sangue, Marco Bellocchio
Le pause di riflessione a volte servono. Dopo tre anni di silenzio da Bella Addormentata, il regista piacentino propone un film strutturato su pochi elementi narrativi in cui riversa tutto il suo mondo. Bellocchio ricorda quanto il cinema possa ancora essere leggero e significativo.

Behemoth, Zhao Liang
Il docu-film del regista/videoartista cinese è il passo evolutivo successivo nello sviluppo artistico del cinema. Mescolando insieme gli elementi visivi della contemporaneità, Zhao Liang produce un incanto per gli occhi che spinge chi guarda dentro la realtà di una Cina non pubblicizzata dai media, per poi portarlo fuori e ficcargli nella mente questa osservazione: “Io sono qui, mentre lì succede tutto questo”.

Mia Madre, Nanni Moretti
Cinema d'autore, parte 1. Un quasi testamento visivo per il Nanni nazionale che incastra tutto il suo mondo, cinematografico e umano, in una storia familiare. Crepuscolare, intimo, riservato e assoluto.

Francofonia, Aleksandr Sokurov
Cinema d'autore, parte 2. È la narrazione visiva che almeno una volta all'anno si deve vedere. Il regista russo dimostra che il cinema è ancora in grado efficacemente di spiegare all'uomo la sua vita, il suo presente, recuperando la sua Storia e illustrando il potere educativo e universale dell'arte.

The Assassin, Hou Hsiao Hsien
Cinema d'autore, parte 3. È il film da vedere e il segno che il cinema è vitale, affascinante ed educativo.

Il cinema del 2015 si presenta bilanciato tra i segni inconfondibili, assoluti, universali, naturali e spontanei dei grandi autori e interessanti sorprese provenienti dai giovani cineasti. Il tratto che accomuna tutti loro è la volontà di descrivere, raccontare, far riflettere attraverso le immagini, più che utilizzando parole o altri supporti narrativi (e nel fare ciò il cinema di produzione cinese è ancora il più efficacie e capace). È la cura, la descrizione della creazione di scene, paesaggi, sfondi, personaggi, movimenti, incastri, evoluzioni narrative che dominano le pellicole qui proposte e più in generale la cinematografia del 2015.
In una contemporaneità in cui l'immagine domina e furoreggia, il cinema e i suoi autori sono in grado di adattarsi a questa tendenza, descrivendo più che parlando e servendosi dell'inquadratura per rivelare. Ciò dimostra non solo lo stato vitale della settima arte, ma anche la sua intrinseca ed etimologica capacità di inframezzarsi nelle pieghe della vita dell'uomo, della società, della Storia per riassumere e condensare nelle sue scene il presente, fino a fornire gli strumenti per illustrare il dopo.

 


 

Le scelte di Adriana Rosati

The Assassin, Hou Hsiao-hsien
L’opera matura e ricca del regista taiwanese è un wuxia di sentimento più che di spada. Uno splendido regalo per noi, grande bellezza da assorbire lentamente e grande cinema dal quale lasciarsi rapire.

Veteran, Ryoo Seung-wan
Perché ogni tanto un bel filmone 'popcorn' di giusti testardi contro diabolici disonesti con risate, inseguimenti, spirito di corpo e appagante scazzottata finale ci sta proprio bene, eccome se ci sta!

Cemetery of Splendour, Apichatpong Weerasethakul
Per magia ho passeggiato in una foresta silenziosa, che però era anche un antico castello di re battaglieri, ma che era anche una scuola con sopra un ospedale e ragazze che erano dee e soldati che erano corpi vampirizzati… e poi mi sono persa, con gran piacere.

Men and Chicken, Anders Thomas Jensen
Originale e provocatorio è il mondo di questo film danese dove finalmente i protagonisti sono tutti brutti, sporchi e cattivi e raccontano una storia attuale e importante. Una ventata di freschezza.

Slow West, John Maclean
Cowboy di vecchia scuola in un viaggio surreale e a volte comico a tempo di ottima musica tra dandy, cacciatori di taglie, antropologi visionari, in una splendida Nuova Zelanda camuffata da Colorado. Bell’esordio del giovane regista e musicista scozzese.

Kaili Blues, Gan Bi
Mi ha preso per mano e mi ha portata lontano, in un paese dove gli orologi girano in modo diverso e le storie sono ellittiche e se ne fregano di quello che abbiamo imparato a scuola e al cinema.

Right Now, Wrong Then, Hong Sang-soo
Perché, sì, le cose sarebbero andate diversamente se non avessimo fatto gli stupidi, se non avessimo bevuto troppo e se non avessimo detto quella cosa in quel momento… casualità e tenera autoironia, ‘very Hong’.

El Club, Pablo Larrain
Un film che è stato una discesa senza appigli in una malinconica melma umana e quando pensavo di esserne fuori mi ha colpito con la frusta del dubbio. Nessuno ne esce pulito in questa cronaca dai confini della decenza.

The Forbidden Room, Guy Maddin e Evan Johnson
Vedere questo ‘pastiche’ ammiccante è stato come perdere la bussola nel Luna Park tra la Grotta degli Orrori e il Tunnel degli Innamorati in una matrioska infinita di geniale creatività.

Chevalier, Athina Rachel Tsangari
La regista greca mette sotto la lente d’ingrandimento tutte le ossessioni maschili, potere, desiderio, competizione, cameratismo ed è gratificante e liberatorio riconoscerle e riderci sopra. Alchimia perfetta tra gli attori e sceneggiatura di classe.

Il 2015 è stato, nella mia percezione, lungo, complesso e noioso, dove per noia intendo la triste continuità di eventi non proprio edificanti per il genere umano che si sono verificati in giro per il mondo. La scelta di 10 film che mi sono piaciuti quest’anno ne risente in pieno. Non sono di certo i film più belli del 2015, ma sono film che mi hanno in qualche modo scosso dalla routine di un anno difficile, sono film che mi hanno portato in posti sconosciuti del mondo e del mio inconscio, film che mi hanno narrato cose in modi inaspettati, film che mi hanno spiazzato e fatto cambiare idea, film con un pizzico di coraggio e film che semplicemente mi hanno fatto allentare la guardia e fatto ridere. L’ordine in realtà non conta, ognuno di questi film mi è piaciuto per motivi diversi e trovo difficile metterli in ordine di gradimento.


 

  

Le scelte di Simone Tricarico

Corn Island, George Ovashvili
Una incredibile gemma che racconta con commovente sincerità la debolezza umana contrapposta all’eterno e impenetrabile mistero della Natura.

Mountains May Depart, Jia Zhang-ke
Un nuovo poderoso affresco umano di Jia Zhang-ke, che ormai dimostra una inarrivabile sensibilità nel mettere in scena debolezze e contraddizioni della società moderna.

Francofonia, Aleksandr Sokurov
Sokurov indaga l’arte e la Storia con sorprendente forza espressiva. Un nuovo prezioso lavoro del maestro russo che trascende i generi e colpisce nell’intimo lo spettatore.

The Assassin, Hou Hsiao-hsien
Hou Hsiao-hsien rielabora il genere wuxia inserendolo all’interno di una propria particolarissima estetica. Una pellicola che lascia stupiti e meravigliati per forza dirompente e inaspettata modernità.

Cemetery of Splendour, Apichatpong Weerasethakul
Meraviglioso esempio del cinema immateriale di Apichatpong Weerasethakul, che regala nuove altissime vette di fascinazione e ipnotica poesia.

Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, Roy Andersson
Il cinema meravigliosamente surreale di Roy Andersson prende forma e sostanza nell’ultimo capitolo della sua personalissima trilogia sull’uomo. Un tableau vivant che stupisce e commuove.

Leviathan, Andrey Zvyagintsev
Andrey Zvyagintsev continua il suo personale percorso artistico indagando le ambiguità e le miserie della condizione umana. Un lavoro sorretto da una grande sceneggiatura e da un impianto estetico visivamente coinvolgente.

Gli uomini di questa città io non li conosco, Franco Maresco
Maresco ha ancora la forza e la tenacia per fare un cinema impassibilmente schierato. Un documentario che scava nel peggio della nostra società per spingerci a resistere e a contrastare l’oscenità che ci circonda.

La Isla Minima, Alberto Rodriguez
Un poliziesco solido e robusto come non se ne vedevano da tempo, un viaggio cupo e riuscito in una Spagna arcaica che rievoca gli spettri del periodo franchista.

Vulcano, Jayro Bustamante
Riuscita fusione fra saggio antropologico e crudo realismo, il film di Bustamante segna uno dei più interessanti debutti dell’anno, regalando uno scorcio imperfetto ma intenso sulla vita ai confini della civiltà.


 

Le scelte di Fabio Canessa

Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, Roy Andersson
Muovendosi tra il nonsense, tra commedia e tragedia, il regista svedese costruisce il terzo atto della sua grande sinfonia grottesca che riflette sull’esistenza, con le solite straordinarie geometrie che delineano la cornice dentro la quale si sviluppano i suoi tableaux vivants densi di grande cinema.

The Assassin, Hou Hsiao-hsien
Rivisitazione personalissima del wuxia da parte del maestro taiwanese. All'interno di una narrazione rarefatta, una lezione di regia dove ogni inquadratura, ogni movimento di macchina rappresenta una pennellata d'autore che va a comporre un quadro dal debordante fascino visivo.

Inside Out, Pete Docter
Forse il più bel film della Pixar di sempre, di sicuro il migliore da molto tempo a questa parte. Geniale ed emozionante racconto di formazione che raggiunge un magico punto di equilibrio tra il divertimento giocoso adatto ai più piccoli e un sottotesto capace di parlare con sincerità agli adulti.

Il regno dei sogni e della follia, Mami Sunada
Imperdibile viaggio dietro le quinte dello Studio Ghibli che segue in particolare la lavorazione dell'ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki (Si alza il vento), regalando a tutti gli appassionati d'animazione un intimo, emozionante, prezioso ritratto del genio giapponese.

The Whispering Star, Sion Sono
Quando ti aspetti che ormai si sia perso dietro l'iperprolificità che sta caratterizzando la sua carriera, quel pazzo del regista giapponese ti sorprende con un film particolarissimo. Il re delle esagerazioni fa centro con uno sci-fi minimale, dove a parlare sono lunghi silenzi.

Tutto può accadere a Broadway, Peter Bogdanovich
Una commedia irresistibile, come se ne vedono sempre più raramente, che fa respirare l'aria dei grandi classici del maestro Lubitsch. Personaggi esilaranti, equivoci, ritmo per un'ora e mezza di puro divertimento grazie a un'ottima sceneggiatura e un gruppo di interpreti in grande forma.

A Most Violent Year, J. C. Chandor
Solido noir che pur recuperando la tradizione del genere mantiene una certa originalità. Con una ricchezza di sfumature morali sulle quali è costruito il cuore della narrazione che si avvale tecnicamente di una splendida fotografia e artisticamente di ottime interpretazioni.

I ricordi del fiume, Gianluca e Massimiliano De Serio
Profondo ritratto della vita dei rom in un campo in via di smantellamento. La forza del ‘cinema del reale’ in un documentario che ricorda la lezione di importanti lavori di grandi autori come Wang Bing e Jia Zhang-ke. Il cinema come memoria, atto di resistenza in cui etica ed estetica si fondono.

100 Yen Love, Masaharu Take
Prendendo a prestito un concetto tipico della cultura nipponica, il film – che rivitalizza il classico schema boxe come occasione di riscatto – ispira un profondo sentimento di simpatia per il perdente (‘hoganbiiki’ in giapponese). Impressionante prova, anche fisica, di Sakura Ando.

Montahna, Joao Salaviza
Ritmo indolente, luce naturale, interni in penombra, lunghi silenzi interrotti da dialoghi quasi sempre accennati, sono gli ingredienti di questa convincente opera prima. Un delicato, sospeso, credibile coming of age firmato da una promessa del cinema portoghese.

La premessa è ogni anno la stessa, ma sempre d'obbligo. Mancano tante, troppe visioni. E alcune riguardano film firmati da nomi eccellenti e molto amati. La classifica nasce così già monca, parziale, sicuramente rivedibile con i recuperi che si potranno fare nei prossimi mesi grazie a uscite home video.
Riassunto in questi dieci titoli il 2015 cinematografico, fermo restando i recuperi che potrebbero cambiare anche di molto il giudizio generale, appare alla fine un anno discreto. Anche buono nella media, ma nel complesso difficile da inserire tra le annate straordinarie. I picchi arrivano da due maestri tornati al lavoro dopo diverso tempo, Hou Hsiao-hsien e Roy Andersson. Anche se il film del regista svedese, come altri titoli della classifica, in realtà batte bandiera produttiva dell'anno precedente ed è poi arrivato in sala nell'arco degli ultimi dodici mesi. Un 2015 che sarà inoltre da ricordare per il passaggio al cinema di alcuni classici che travalicano ogni possibile classifica: da La tomba delle lucciole di Isao Takahata ai sei capolavori restaurati di Yasujiro Ozu distribuiti dalla Tucker. Oltre a quelli proiettati in occasione dei festival come il meraviglioso A Brighter Summer Day di Edward Yang che ha nobilitato la Festa del Cinema di Roma.


 

Le scelte di Francesco Siciliano (in ordine di gradimento)

Francofonia, Aleksandr Sokurov
Perché Sokurov riscrive il cinema, la sua grammatica, con un film spartiacque che segna una nuova forma di racconto per immagini: finzione e realtà, passato e presente si fondono e confondono attraverso fantasmi storici e riflessioni nei modi del saggio in un viaggio visionario con destinazione le radici dell’Europa. Temo – anzi spero – ci sarà un prima e un dopo Francofonia nella storia del cinema – e in quella di questo immenso regista.

Behemoth, Zhao Liang
Perché Zhao, come Sokurov, rivolta come un calzino il genere documentario portandolo a vette altissime, in un limbo tra estasi visiva per la bellezza delle immagini e sgomento per la crudezza della realtà portata sullo schermo (la Cina nascosta del boom economico). Il colpo di fulmine del 2015.

The Assassin, Hou Hsiao-hsien
Perché Hou è Hou, inutile girarci intorno: il suo cinema è unico, inconfondibile, irrinunciabile, una specie purtroppo non protetta, un segno forte di cui abbiamo bisogno come il pane ma che rischia l’estinzione per la pochezza di vedute del sistema produttivo contemporaneo. Il suo wuxia è un’eccezione del genere arrivato dopo anni di altalene produttive, cinema puro in cui perdersi con lo sguardo che lotta tra ragione e sentimento, come tutto il cinema di Hou.

Inside Out, Pete Docter
Perché rappresenta la Pixar all’ennesima potenza: una storia che ti prende in contropiede per le continue invenzioni narrative, raccontata con uno stile portentoso capace di dare forma e contenuto a ciò che è astratto: le emozioni umane. Il miglior film di animazione dell’anno.

Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza, Roy Andersson
Perché il genio filosofico e ironico di Roy Andersson rimane irresistibile: quadri viventi di indescrivibile bellezza formale che prima sembrano respingerti nella loro enigmaticità ma poi ti conquistano con un nonsense e un surrealismo che fanno ridere e anche inquietare. Ipnotico.

The Look of Silence, Joshua Oppenheimer
Perché è un documentario che, ripercorrendo l’orrore delle purghe anticomuniste del 1965 in Indonesia, assolve magnificamente a una delle funzioni del cinema: farsi memoria viva contro l’oblio del tempo che tutto seppellisce e dimentica.

Eva no Duerme, Pablo Aguero
Perché è un film che dimostra ancora una volta come il cinema possa essere l’arte per eccellenza del linguaggio visivo. Aguero parte da una traccia minima, la scomparsa della salma di Evita Peron, e compie un piccolo miracolo di regia: condensa 25 anni di storia argentina senza scene madri, affidandosi a un flusso disturbante di immagini in grado evocare, creare suggestioni sinistre, con una padronanza assoluta del mezzo che fa del regista una sorta di eccezionale visual storytelling.

Blackhat, Michael Mann
Perché è uno dei pochi film hollywoodiani che rivela una grande personalità autoriale dentro i confini del cinema di genere. Michael Mann è al momento forse l’unico cineasta americano capace di trovare il giusto equilibrio tra arte e commercio senza scendere a compromessi. E poi perché le luci e i colori risucchiati dalla notte nei film di Mann sono sempre un bello spettacolo per gli occhi.

Mia Madre, Nanni Moretti
Perché il Nanni Moretti intimista e privato ci regala un ritratto autentico e commovente dell’inadeguatezza e impreparazione di fronte alla morte di una figura 'ingombrante' ma imprescindibile come può essere una madre. Scevro di qualsiasi retorica e compiacimento, un film necessario.

The Whispering Star, Sion Sono
Perché la fantascienza retrò di questo film girato con quattro soldi è un distillato prelibato di quella lucida, disperata e inimitabile ossessione per l’alienazione di cui è campione Sion Sono, un regista mai banale, cantore supremo di un’umanità al suo baluginio.

Esclusi i titoli di cui sopra, resta ben poco. Resta la consapevolezza di un vuoto incolmabile con generazioni di grandi autori inattivi o non pervenuti (un po' per imperscrutabili ragioni produttive, come De Palma, osannato da un bel documentario sul suo cinema di Noah BaumbachJake Paltrow ma privato di spazio e soldi per tornare a girare, e un po' per raggiunti limiti di ispirazione, vedi i vari Allen, SpielbergVan Sant che sembrano le pallide controfigure dei registi che amavo). Resta la sensazione di un ricambio di storie, cifre stilistiche e personalità registiche che stenta a manifestarsi. Resta il timore crescente di un cinema sempre più marketing e sempre meno idee. Il 2015 doveva essere l’anno di Star Wars VII, a lungo voluto e atteso. E invece, vista la magra figura del film di J.J. Abrams, ennesimo esempio di operazione commerciale che non si vergogna di ripetere come in un loop situazioni e personaggi già scolpiti nella mente del pubblico, è stato l’anno di Sokurov, cioè di un film che dialoga con il presente e con il pubblico mettendo in gioco nuove modalità di rappresentazione. Il cinema di Abrams è morto, il cinema di Sokurov è vivo.

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