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Setsuko Hara, il centenario della nascita

Il 17 giugno del 1920 nasceva la leggendaria attrice Setsuko Hara. Dagli esordi negli anni Trenta al cinema di propaganda durante la guerra, dai film con Kurosawa e Naruse al fondamentale sodalizio artistico con Ozu: vita e carriera del volto femminile per eccellenza del cinema giapponese

Bellezza, grazia, pudore, purezza. Setsuko Hara ha incarnato al cinema l’ideale femminile giapponese, più in generale i valori di un Paese sospeso fra tradizione e modernità. Con i suoi lineamenti dolci, ma anche così particolari, il naso più largo della media. E soprattutto con il suo sorriso. Unico, luminoso, diventato iconico. Utilizzato come strumento di recitazione con diverse sfumature di significato sotto la guida di Yasujiro Ozu, il regista che ha reso Setsuko Hara il volto femminile per eccellenza del cinema giapponese. Probabilmente la più amata e nota, anche in Occidente, fra tutte le grandi attrici che i capolavori dei maestri del paese del Sol Levante hanno reso immortali. Un sodalizio artistico, quello con Ozu, sviluppato in sei dei tanti film in cui ha recitato. Dalla metà degli anni Trenta, quando debutta ancora adolescente, al ritiro dalle scene nel 1962. Il resto della sua vita l’attrice, soprannominata L’eterna vergine (tra l’altro non si sposò mai), lo ha vissuto lontano dai riflettori, rifiutando interviste e apparizioni pubbliche. Sino alla morte nel settembre del 2015 (ma la notizia è stata resa nota quasi tre mesi dopo), quando se n’è andata alla veneranda età di 95 anni. Ma in fondo non ci lascerà mai, con il suo indimenticabile sorriso continuerà a irradiare grazia e bellezza. Attraverso i film migliori a cui ha preso parte che ricordiamo in questo pezzo per il centenario della nascita.

I primi passi di una stella. All’anagrafe Masae Aida, la futura stella del cinema giapponese nasce a Yokohama il 17 giugno del 1920 in una famiglia numerosa. La sorella maggiore sposa il regista Hisatora Kumagai ed è lui che la spinge a entrare in quel mondo. Così a soli 15 inizia a lavorare per la Nikkatsu e prende il nome d’arte di Setsuko Hara. Nel 1936 è già nel cast di un film importante diretto da Sadao Yamanaka. Un grande quanto sfortunato regista (morto sul fronte, in Manciura, a 29 anni) di cui sono sopravvissuti soltanto tre bellissimi lungometraggi dei molti realizzati. Uno di questi è Priest of Darkness, dove la giovanissima attrice si mette in mostra, anche se non come protagonista. L’anno successivo viene scelta come interprete femminile principale in una coproduzione nippo-tedesca, manifestazione culturale di un rapporto sempre più stretto dal punto di vista politico e militare tra la Germania nazista e il Giappone pervaso da spinte nazionaliste. Il film, diretto dal tedesco Arnold Fanck con il giapponese Mansaku Itami, ha come titolo internazionale The Daughter of the Samurai. Da ricordare nel film, sicuramente discutibile, la parte conclusiva con il personaggio interpretato dall’attrice che sale su un vulcano con l’idea di farla finita. Setsuko Hara viene anche invitata in Europa per la presentazione come testimoniano foto dell’epoca, in particolare una scattata a Berlino al fianco del famigerato ministro della propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels.

Il cinema militarista. La tendenza nazionalista e militarista del Giappone, che nel 1937 invade la Cina, non risparmia il cinema. Prima il governo rafforza la censura, poi assume il controllo diretto dell’industria cinematografica. Tanto più dopo Pearl Harbor e la conseguente dichiarazione di guerra degli Stati Uniti all’impero giapponese. Tra i registi che si mettono al servizio della propaganda nazionale c’è anche Kumagai, il cognato di Setsuko Hara. Il più importante esponente del cinema bellico di quegli anni è però Kajiro Yamamoto. In particolare viene ricordato The War at Sea from Hawaii to Malay del 1942, con la ricostruzione dell’attacco di Pearl Harbor, dove il volto femminile principale è proprio quello dell’attrice. Altro esempio di questo genere di film è Toward the Decisive Battle in the Sky diretto da Kunie Watanabe, sempre con Setsuko Hara presente anche nell’ultimo film prodotto sotto la politica cinematografica nazionale prima della capitolazione del Giappone nell’agosto del 1945: Three Women of the North diretto dal poco conosciuto Kiyoshi Saeki, ma con un super cast. Ad affiancare l’attrice ci sono le splendide Hideko Takamine e Hisako Yamane, scelte per interpretare tre giovani donne che in un aeroporto del nord del Paese fanno parte dell’unità di radiocomunicazione a supporto dei piloti. Unione e sopportazione in un momento difficile il chiaro messaggio che vuole veicolare questo lungometraggio. La guerra, intanto, è praticamente finita.

L’immediato Dopoguerra. La faticosa rinascita del Paese uscito sconfitto e distrutto dal conflitto, riguarda anche il cinema giapponese che da lì a pochi anni conoscerà la sua età dell’oro. Tra i primi e più importanti film dell’immediato Dopoguerra c’è un lavoro di un giovane regista che aveva iniziato come assistente del già citato Kajiro Yamamoto. Il suo nome è Akira Kurosawa. Con Non rimpiango la mia giovinezza regala a Setsuko Hara, nel 1946, quello che si può considerare il primo ruolo memorabile della sua carriera. Un Kurosawa particolare, quasi neorealista, in cui il punto di vista è proprio quello del personaggio femminile interpretato dall’attrice (mentre il suo cinema è conosciuto soprattutto come maschile diversamente da quello degli altri più noti maestri giapponesi che hanno basato molti loro film su straordinari ritratti di donne). Tra i film della seconda metà degli anni Quaranta merita di essere menzionato The Ball at the Anjio House diretto da Kozaburo Yoshimura. L’attrice ha la parte della figlia devota e saggia, in una famiglia aristocratica che si ritrova sommersa dai debiti e deve fare i conti con un mondo che sta cambiando. Un ruolo perfetto per Setsuko Hara e decisamente diverso da quello invece insolito per lei, di donna sfacciata e sensuale, che ricopre nel successivo e curioso A Woman in the Typhoon Area di Hideo Oba. Nel 1949 recita poi per altri grandi registi come Keisuke Kinoshita, in Here’s to the Young Lady e Tadashi Imai, in The Blue Mountains. Ma quello è soprattutto l’anno dell’incontro con Yasujiro Ozu.

La trilogia di Noriko. Il sodalizio che segnerà il suo percorso artistico (ma si può dire di entrambi perché è impossibile immaginare i capolavori di Ozu senza Setsuko Hara) comincia con Tarda primavera, primo capitolo della trilogia di Noriko dal nome dei personaggi interpretati dall’attrice in questo film e nei successivi Il tempo del raccolto del grano e Viaggio a Tokyo. Quello in Tarda primavera è probabilmente il ruolo più bello di tutta la sua carriera. Figlia affezionatissima al padre vedovo, il grande Chishu Ryu (l’attore prediletto di Ozu), che la spinge per il suo bene a farsi una famiglia. Molte le scene memorabili, come quella del vaso che si alterna al viso di Noriko prima sorridente e poi sofferente e quella del giro in bicicletta dove viene anche mostrato un cartellone della Coca Cola che fa da contrasto alle riprese che rappresentano le tradizioni giapponesi come quella dello spettacolo di teatro Noh. Dopo Il tempo del raccolto del grano, meno celebrato anche perché incastonato tra due autentici capolavori, arriva Viaggio a Tokyo con una meravigliosa Setsuko Hara nei panni della premurosa nuora, vedova di guerra, di una coppia di anziani che lascia la propria cittadina di provincia per andare a Tokyo e incontrare i figli trovandosi però di fronte un muro di indifferenza. L’incomunicabilità tra generazioni nel Giappone che cambia, i vecchi che diventano un disturbo nella nuova società e accettano la delusione con la consapevolezza dell’ineluttabilità del mutamento. Il fluire della vita raccontato da Ozu come nessuno mai.

Kurosawa bis e Naruse. È il periodo migliore della carriera di Setsuko Hara quello racchiuso tra i pochi anni che vanno da Tarda primavera, 1949, e Viaggio a Tokyo, 1953. Nello stesso periodo è protagonista di altri importanti film, in particolare al servizio di due registi che non da meno di Ozu sono considerati dei giganti del cinema giapponese. Uno è ancora Kurosawa che dopo aver pensato a lei anche per Rashomon, ruolo femminile poi affidato a Machiko Kyo, la dirige nella sua particolare trasposizione del romanzo L’idiota. L’attrice interpreta lo sfaccettato personaggio di Taeko, equivalente a quello di Nastas’ja nel libro di Dostoevskij. Un ambizioso progetto, con uno straordinario cast (i protagonisti maschili sono Masayuki Mori e Toshiro Mifune), che si rivelò però un insuccesso e che solo in parte la critica ha rivalutato con il tempo. L’altro grande regista è Mikio Naruse, con il suo cinema rappresentato da memorabili personaggi femminili. Una galleria di ritratti di donne alla quale contribuisce anche Setsuko Hara, a cominciare dall’intenso Repast dove interpreta una moglie frustrata dalla vita di coppia. Con Naruse lavorerà ancora negli anni successivi in film di grande valore come Sound of the Mountain, basato sul romanzo del futuro premio Nobel Yasunari Kawabata, e lo splendido affresco familiare Daughters, Wives and a Mother.

Ancora Ozu. Tra il 1957 e il 1961 l’attrice torna a lavorare con Ozu, per altri tre film. Il primo è Crepuscolo di Tokyo, pervaso da un’atmosfera mai così cupa nei lavori del grande cineasta, dove Setsuko Hara veste i i panni di una donna sposata e con figlia piccola che ha problemi con il marito bevitore e violento. Il successivo, Tardo autunno, riprende il soggetto di Tarda primavera. Undici anni dopo l’attrice passa dall’altra parte. È lei la vedova che cerca di convincere la figlia a sposarsi fingendo interesse per le attenzioni di tre amici del padre scomparso. Una storia al femminile che vira maggiormente verso la commedia con i simpatici intrighi matrimoniali portati avanti dai personaggi maschili. Meno intenso rispetto al modello originale, ma sempre coerente con la visione generale del regista. L’ultimo film insieme è L’autunno della famiglia Kohayagawa, con l’attrice nel ruolo della nuora, rimasta vedova, che il patriarca di una famiglia proprietaria di una distilleria di sake cerca invano di far risposare. Si tratta anche del penultimo lavoro di Ozu che nel 1963, lo stesso giorno in cui era nato sessant’anni prima (il 12 dicembre) muore a causa di un cancro alla gola. Setsuko Hara intanto ha già lasciato il cinema dopo la partecipazione, in un ruolo abbastanza di contorno, in 47 Ronin di Hiroshi Inagakai.

Il ritiro dalle scene. Perché lasciare così, improvvisamente? A 42 anni, popolare e ancora molto richiesta? Leggendo a riguardo cosa scrive il grande studioso di cinema giapponese Donald Richie in un ritratto dell’attrice, si capisce soltanto che in fondo Setsuko Hara non avrebbe mai amato recitare, che lo avrebbe fatto come semplice lavoro e che arrivata a quel punto della sua carriera non vedeva motivo per continuare. Certo la ferma decisione portata avanti nonostante le pressioni subite dall’industria cinematografica ha alimentato un alone di fascino e mistero sulla sua figura. Anche perché il ritiro è stato accompagnato da un resto della vita, oltre mezzo secolo, passato in totale riservatezza. Niente apparizioni pubbliche o magari partecipazioni a documentari su Ozu alla cui scomparsa leggenda vuole che il suo ritiro sia legato, almeno in parte. Una leggenda che cerca di smontare una biografia uscita proprio di recente in Giappone, a cura della studiosa Taeko Ishii: tra loro non ci sarebbe mai stato un particolare attaccamento e l’attrice non avrebbe amato lavorare con lui per i ruoli che il regista le affidava. Ma il riferimento al libro è ripreso da un articolo (apparso su nippon.com), bisognerebbe leggere il volume per approfondire questa tesi. E comunque, poco importa alla fine. Certo Setsuko Hara dal 1962 è potuta tornare a essere la sconosciuta Masae Aida. Passando il resto dei suoi giorni in tranquillità a Kamakura, lontano dai riflettori. Si dice avesse espresso il desiderio di viaggiare all’estero, ma che non l’abbia mai fatto. “Non è deludente la vita?”. Viene in mente questa domanda rivolta a Noriko in un famoso dialogo di Viaggio a Tokyo. Con la sua risposta, data sorridendo: “Sì, lo è”.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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