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Wild City - Recensione

Non delude Ringo Lam dopo un silenzio di otto anni: Wild City è solido thriller che presenta tematiche attuali e in parte nuove per il regista di Hong Kong

Otto anni sono trascorsi dall’ultimo lavoro di Ringo Lam, quel Triangle opera tripartita alla regia in collaborazione con Johnnie To e Tsui Hark, un elegante e riuscito esercizio stilistico dall’impronta sperimentale. Finalmente il regista di quel City on Fire che ancora oggi risulta uno dei modelli del noir hongkongese, ci regala la sua nuova fatica, che è bene dirlo subito, ci ripaga dell’attesa durata così tanto.
Wild City è pellicola dalla quale traspira abbastanza forte ed evidente lo stile di Ringo Lam e la sua impronta sul genere, affidandosi ad una storia tutto sommato convenzionale nelle forme e nelle tematiche ma che si tinge di tinte cupe e di riflessioni sulla città di Hong Kong e di come sia evoluto l’ambiente della malavita.
I protagonisti sono due fratelli che hanno il defunto padre in comune e madri diverse: T-Man è un ex poliziotto, cresciuto all’ombra del padre poliziotto anch’esso che però da poco ha rassegnato le dimissioni in seguito ad una operazione finita male e che si tira dietro la delusione per non avere saputo onorare il ricordo del genitore, l’altro, Siu-Hung, è un’aspirante pilota da corsa che però ora fa il tassista e che ha avuto qualche guaio con la legge proprio per la sua passione. La tranquilla vita dei due viene stravolta dall’incontro con un'avvenente ragazza, Yun, che si porta dietro una valigia carica d’oro e denaro e alle cui calcagna ci sono svariate gang agli ordini di personaggi poco raccomandabili. Dopo vari accadimenti, per i due la salvezza passa attraverso la protezione della ragazza e della valigia, l’unico modo per salvare la pelle, gli affetti e anche l’onore.
Sin dall’inizio il film di Ringo Lam mette bene in chiaro due aspetti fondamentali: i soldi, l’avidità dell’uomo che insegue il denaro e finisce nel gorgo senza possibilità di salvezza e la faccia della malavita di Hong Kong che non è più quella dei padrini delle Triadi ma quella sporca violenta e anarchica delle gang al soldo dei colletti bianchi e dei personaggi biechi e senza scrupoli. Su queste premesse la trama, come detto. si svolge su binari tutto sommato convenzionali, nei quali però il tocco del regista si vede, anzitutto nella descrizione della trama urbana, poi nei personaggi, non tanto i protagonisti, quanto quelli di contorno, aleggia quel perverso e distorto senso di appartenenza delle gang, soprattutto quella taiwanese, che funge da surrogato famigliare per gente alla deriva, e soprattutto punta il dito sulla forza del denaro capace di cambiare le regole portando allo scoperto gli aspetti più truci dell’animo umano: in questo senso Wild City sembra essere un po’ il funerale e la pietra tombale di quell’ambiente tradizionale legato alle Triadi pervaso comunque da regole e senso dell’onore, seppur sui generis.
Il personaggio di T.Man è quello forse più caratteristico e 'tradizionale': ex poliziotto, col suo carico del passato pesante e che rimane sulle spalle per tutta la vita, che vede nella losca faccenda cui si è cacciato la possibilità di redimersi anzitutto con se stesso; mentre piuttosto singolare appare il sodalizio tra i due fratelli e la fuggiasca Yun, dapprima forzato e carico di livore, poi ammorbidito da una sincera amicizia non solo virile, come imporrebbe il genere.
Insomma Wild City è al tempo stesso un lavoro che conferma la bravura di Ringo Lam nel trattare il noir e al contempo contiene dei germi rivoluzionari del genere medesimo, aprendo forse le porte ad una nuova visione, potremmo dire quasi post-moderna.

Girato con grande classe, fotografato con eleganza, arricchito di scene d’azione in alcuni momenti fin troppo fracassone che stonano con l’atmosfera generale, interpretato da un Louis Koo convincente, da uno Shawn Yue molto meno, da Tong Liya che alla fine riesce ad essere addirittura credibile lei stessa e arricchito da svariati altri attori di nome in parti piccole (Simon Yam, Joseph Chang, Jack KaoWild City è lavoro bello e coinvolgente, solido nella trama e nelle tematiche, che segna il ritorno in grande stile di un Maestro indiscusso del film di genere.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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