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The Whispering Star - Recensione (Festa del Cinema di Roma 2015)

The Whispering Star, lo sci-fi di Sion Sono visto alla 10° Festa del Cinema di Roma, è una profonda riflessione sull'umanità post-apocalittica: il regista giapponese abbandona provvisoriamente il suo stile giovanilistico-demenziale per dare corpo alla sua visione del post-tsunami del 2011

Lo spazio infinito ospita le ultime retroguardie del genere umano ridotte ormai a piccola minoranza: l’Universo è abitato da intelligenze artificiali, una di queste, Yoko Suzuki, è un androide che vaga per lo spazio parcellizzato svolgendo il suo ruolo di corriere trasportando pacchi agli ultimi umani rimasti in vita. La fredda intelligenza dell’androide non si spiega perché l’uomo non utilizzi il teletrasporto e preferisca comunicare inviando insignificanti oggetti. In particolare c’è un pianeta sul quale vivono solo umani, oppressi da un sibilare monotono sotto una soglia di pochi decibel.
Suzuki viaggia su uno strano velivolo spaziale a forma di casa di campagna con tanto di veranda, alla guida un computer che sembra il figlio povero di HAL 9000 con le sue forme da radio a valvole. La plancia di comando del velivolo sembra uscita da un film di fantascienza degli Anni '60 con tanto di timone marino. All’interno Suzuki vive in una disadorna dimora in tutto e per tutto simile ad una casa 'umana'. Nel suo viaggio perenne che dura decenni, visita luoghi desolati dove le tracce dell’umanità sono sempre più flebili, sufficienti però a far sorgere nell’androide la curiosità per un genere che appare così arretrato.
Quinto film della mezza dozzina girati in questo 2015, The Whispering Star è sicuramente il più atipico per il regista giapponese Sion Sono, che abbandona le tematiche giovanili-adolescenziali demenziali ed estreme per ritornare in maniera diretta e convinta sul tema della condizione umana post-apocalittica: il mondo descritto da Sono è una parcellizzazione dello spazio e del tempo, nel quale la forza del ricordo e della memoria sopravvivono a stento mediati da piccoli oggetti, gesti minimi, ombre che si proiettano.
Dopo Himizu e The Land of Hope, il regista giapponese torna a trattare con più convinzione e forza le conseguenze del drammatico tsunami e dell’incidente nucleare che ne seguì nel 2011, portandoci sui luoghi della tragedia, mostrandoci i sopravvissuti cui il film è dedicato: da qui parte l’era post-apocalittica, da qui Sono immagina un mondo frammentato nella solitudine dello spazio infinito, da qui sviscera il tema della memoria che rimane l’ultima disperata arma per cercare la salvezza. Tutta la pellicola, sotto le vesti di uno sci-fi minimalista girato in un bellissimo bianco e nero, è una riflessione profonda e sentita su questa condizione dell’uomo sull’orlo del baratro e della sua solitudine che assumono le forme della vera ossessione per Sono, probabilmente il regista giapponese che più di ogni altro ha saputo indagare la portata dell’evento del 2011 e le sue devastanti conseguenze. Non che in The Whispering Star manchi quel tocco personale che ha fatto di Sono uno degli autori più originali del cinema contemporaneo, ma stavolta si può ben dire che abbia voluto fare un film 'serio', sebbene ridotto all’osso dal punto di vista del budget e dell’impegno economico, quasi una sua personale ed intima riflessione sussurrata e non gridata come ci si aspetterebbe da lui.
Nonostante la desolazione mostrata, il pianeta popolato da esseri umani abitato di sole ombre, efficacemente descritto in una delle scene più belle, i messaggi dolorosi e che rimandano al passato contenuti nelle scatole che Suzuki consegna, nel finale proprio attraverso l’androide Sono lascia aperto uno spiraglio sulla possibilità di salvezza dell’umanità. L’impronta della pellicola, come detto, è minimalista: voci sussurrate, musica appena accennata, rumori ovattati, immagini di quieto abbandono, gesti misurati che servono a descrivere lo smarrimento e la condizione di isolamento e di prostrazione lungo uno spazio temporale compresso, perentoriamente scandito dal trascorrere dei giorni.

Pur mostrando qualche limite proprio nella sua asetticità e astrazione frequenti, The Whispering Star è opera che lascia il segno, stimola la riflessione sulle sorti dell’uomo e soprattutto, come ha tenuto a precisare il regista stesso, è un forte rimando alla potenza della memoria e del ricordo, forse l’unica arma rimasta per trovare una via salvifica.


Il nostro giudizio: Il nostro giudizio è 3.5

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Massimo Volpe

"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".

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