Sori: Voice from the Heart - Recensione
- Scritto da Massimo Volpe
- Pubblicato in Asia
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Mentre un satellite americano in avaria si schianta nel mare di Corea, un uomo di mezza età da dieci anni vaga per il Paese alla disperata ricerca della figlia scomparsa che tutti riferiscono essere morta in un incidente nella metropolitana: su una spiaggia l’uomo trova un piccolo robottino che dalle fattezze ricorda molto da vicino il C-3PO di Guerre Stellari, in realtà è una forma di intelligenza artificiale nascosta nel satellite in avaria, un grande fratello planetario che controlla tutte le comunicazioni e la relativa localizzazione.
He gwan, il protagonista, vede subito nel piccolo mucchio di ferraglia un possibile strumento da utilizzare nella sua instancabile ricerca. Il robot, chiamato da subito Sori, a sua volta non vede l’ora di liberarsi della sua aura fredda da macchina intelligente per rendersi utile alla causa dell’uomo. Nasce così un'amicizia che è il tessuto connettivo di una moderna favola nella quale non possono mancare i cattivi: gli americani vogliono recuperare il robot per tenere nascosta la sua vera funzione, i coreani viceversa vogliono appropriarsene per carpire chissà quali segreti. I due trovano una insperata complice nella bella Ji-hyeon, una scienziata dell’agenzia spaziale coreana, che offre il suo appoggio nel tentativo di proteggere Sori dai suoi cacciatori.
Il lavoro di Lee Ho-jae, secondo classificato per l'Audience Award al recente Far East Film Festival 2016, nasce come un film drammatico che ben presto si stempera in toni da commedia sci-fi, dominato dall’istintiva simpatia che suscita il piccolo robot, ben presto ricoperto con una felpa che non può non far pensare ad E.T.; ed infatti Sori col suo incedere diventa sembra più fortemente ispirato al film di Spielberg con qualche grossolana riflessione sulla tecnologia imperante che non riesce però ad annullare le forze dei sentimenti.
Insomma Sori: Voice from the Heart diventa uno dei quei film che divagano, saltellando da un genere all’altro, perdendo di vista le premesse iniziali e soprattutto fallendo, almeno in parte, nella costruzione empatica tra l’uomo e la macchina.
Indubbiamente i toni e le atmosfere utilizzate dal regista sono accattivanti ed in larga parte riuscite ed il risultato finale è anche piacevole, però il film nel suo insieme si connota come una moderna favola che tende a rimanere abbastanza superficiale e di facile presa e condotta in modo tutt’altro che impeccabile. Il richiamo ai due modelli citati, soprattutto E.T., è alla fine fortemente penalizzante, proprio perché manca quella alchimia fiabesca tra la macchina e l’uomo che nel lavoro di Spielberg è invece il brillante asse portante.
La riflessione sulla tecnologia che diventa tirannia tecnologica e la ribellione strenua dell’Intelligenza Artificiale che anela al calore umano e alla tangibilità dei sentimenti è tematica che funziona solo a tratti, così come quello che è il nodo narrativo iniziale, cioè il rapporto tra il protagonista e la figlia, fortemente conflittuale, perde ben presto la sua forza.
Nel suo complesso Sori si configura come un racconto che avrebbe potuto essere più profondo, preferendo privilegiare invece toni da autentica favola ed in questo probabilmente funziona bene. Lee Sung-min, attore con all’attivo svariati lavori, sebbene più conosciuto per i suoi ruoli televisivi, regala una buona prova, da tipico uomo qualunque che si ritrova coinvolto in qualcosa più grande di lui.
http://linkinmovies.com/cinema/asia/sori-voice-from-the-heart-recensione#sigProIdc8f311c531
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Massimo Volpe
"Ma tu sei un critico cinematografico?" "No, io metto solo nero su bianco i miei sproloqui cinematografici, per non dimenticarli".