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I fotogrammi di Bietti (parte prima): La vergine eterna, Game of Scores, Odio il cinema italiano, Vivere e morire a Santiago

Fotogrammi dell'editore Bietti è una nuova collana che vuole raccontare nuovi aspetti del cinema (e non solo), suggerire nuove visioni e interrogarsi sulla cinematografia di oggi. In un formato tascabile e pratico, gli autori illustrano le loro idee in modo semplice e immediato

L'editore Bietti è da sempre attento al mondo del cinema e alle sue declinazioni, mutazioni e contaminazioni. Nel panorama editoriale italiano già la collana Heterotopia si distingue per i suoi focus di analisi su registi, movimenti e cinematografie; da qualche mese, a partire dal 2020, la proposta dell'editore si è allargata con una collana denominata Fotogrammi, ideata e curata da Ilaria Floreano. Proprio come i piccoli istanti che vengono catturati nella pellicola e insieme compongono l'azione filmica, i libri di Fotogrammi inquadrano precisi aspetti, visioni, punti di vista del cinema contemporaneo, nazionale e internazionale. Al momento della scrittura di questa recensione la collana conta dodici titoli, disponibili a 4,99€ ciascuno (o 1,99€ in formato Kindle) direttamente su Amazon (che risulta anche stampatore della collana attraverso Amazon Italia Logistica s.r.l). La principale caratteristica esteriore della collana è la dimensione; i libri, infatti, sono dei supertascabili, esigui nella foliazione (di media non superiori alle 100 pagine) e si distinguono anche per la cromia accesa delle copertine, corredate da alcuni segni che ne percorrono la prima e la quarta. Internamente, i libri si compongono di apparati diversi a seconda del titolo, seppur sono di egual struttura nel testo. Dopo il frontespizio, è riportato un breve riassunto del libro (lo stesso testo che solitamente è posto nella quarta di copertina), una biografia dell'autore/autrice, indice, eventuali fotografie del soggetto in analisi, e poi il testo. Noi abbiamo, al momento, selezionato quattro titoli, scelti secondo i temi che più indaghiamo e approfondiamo nella nostra testata (cinema internazionale, asiatico, il problema del cinema italiano, linguaggio), e per ognuno di essi vi offriamo una recensione un po' diversa. Partendo sempre dal libro, da come è scritto, da cosa dice e da come lo dice, vogliamo essere (quasi) istantanei, proprio come i fotogrammi del cinema che riescono a catturare ogni singolo movimento.

La vergine eterna. Breve storia di Hara Setsuko, musa di Ozu, di Claudia Bertolé. In circa 80 pagine, comprensive di bibliografia e filmografia, l'autrice, illustre conoscitrice e studiosa del cinema del Sol Levante, a cui si deve una delle poche, se non l'unica, analisi editoriale italiana del cinema di Sion Sono, ripercorre la vita di Hara Setsuko, "l'attrice che più di ogni altra del cinema classico giapponese divenne icona intramontabile" (dall'Introduzione). Definita anche la "Vergine eterna", questa diede vita a molteplici personaggi del cinema giapponese. Un'icona, famosa e osannata, tanto quanto riservata, inafferrabile, come afferma l'autrice, e misteriosa. Nel dettaglio il libro della Bertolé si presenta inframezzato a inizio di ogni capitolo con delle foto dell'attrice, e ne ripercorre la carriera: gli esordi (1920-1948), l'incontro con Ozu (1949), i film degli anni Cinquanta e il ritiro dalle scene (1950-1963) e infine il capitolo finale che propone gli ultimi personaggi della Setsuko, fino al suo ritiro e alla consacrazione del suo mistero. È proprio questo il punto di vista dell'autrice, ossia raccontare il mistero della donna e attrice, cercare di scoprire qualcosa in più sui di lei, per quanto si possa sapere, riguardando i suoi film, rivivendo le sue interpretazioni, spiegando come lei si adattò alle esigenze del cinema, quello giapponese degli anni Cinquanta, e soprattutto a quelle del regista con cui Hara lavorò in film indimenticabili, Ozu. Il legame, filmico e umano, tra i due fu forte e prolifico, per quanto, come afferma la Bertolé, in realtà la loro relazione fu un enigma, soprattutto considerando che l'attrice non aveva una considerazione positiva dei ruoli da lui proposti perché non corrispondevano al suo ideale di donna. La loro unione, comunque, terminata solo con la morte del regista nel 1963, plasmò lei stessa e il suo modo di recitare, cambiando la sua carriera. Il libro, in conclusione, si propone come una piacevole lettura, profonda ed esaustiva, arricchita da citazioni, note e biografie di alcuni registi citati, come lo stesso Ozu. Risponde, inoltre, alla domanda di conoscenza su Setsuko Hara, soddisfacendo e incuriosendo soprattutto chi non la conosce e non ha mai approfondito nemmeno il cinema giapponese di riferimento.

Game of scores. Le migliori colonne sonore tv degli anni Duemila, di Massimo Privitera. L'intento di Privitera, conoscitore del mondo delle colonne sonore del cinema, è arduo: selezionare e analizzare, secondo uno schema definito, le migliori o meglio le più significative colonne sonore della serialità italiana e internazionale degli ultimi vent'anni. Considerando la mole di serie tv uscite in questo ampio lasso di tempo, trovare un criterio di selezione valevole non è affare da poco. L'autore, così, compie una suddivisione di genere: animazione, avventura/azione, commedia/comico, drammatico/sentimentale, fantasy/fantascienza, horror, musical, thriller/poliziesco, western e poi le migliori sigle, oltre a una discografia, ascoltabile tramite un QRcode, e la sitografia. Per ogni scelta Privitera propone la trama, il profilo del compositore, una sua breve analisi all'interno del paragrafo "Score" e i temi topici. Con colonna sonora, Privitera, come afferma nell'Introduzione, considera le musiche originali appositamente scritte per la serialità televisiva, tralasciando canzoni o brani strumentali preesistenti. Perché dedicarsi a questo preciso elemento linguistico? Perché come l'autore afferma sempre in questo paragrafo, la colonna sonora di alcune serie tv resta nella mente e nella memoria di ognuno di noi, anche perché siamo noi a scegliere quali ci impressionano, secondo un criterio di soggettività, lo stesso che l'autore ha utilizzato per definire la sua partitura testuale. Ecco quindi che sfogliando le categorie si legge delle colonne sonore di Gomorra, Downton Abbey, House of Cards, La regina degli scacchi, The Crown, The Young Pope e The New Pope, Fringe, Lost, Stranger Things, The Walking Dead, Glee, Il commisario Montalbano per ognuna delle quali in particolare nel paragrafo "Score" è spiegato in che modo la musica ha reso celebre la serie tv. La parte finale del libro, inoltre, propone 13 sigle che meglio identificano una serie tv, come nel caso de La casa di carta, The Big Bang Theory, Nip/Tuck, True Detective e Orange is the New Black. In generale il libro di Privitera è piacevole. Funge da antologia della musica delle serie tv, eppure il criterio di selezione basato sulla soggettività non è esaustivo. Proprio perché così personale, non può essere una discriminante di selezione valevole per una pubblicazione. Avrebbe funzionato meglio, magari, concentrarsi su un genere in particolare, delimitare gli anni di riferimento, come anche le produzioni (Italia? Stati Uniti? Europa?), così da avere un libro antologico e di maggiore riferimento per le colonne sonore.

Odio il cinema italiano. 7 ragioni per sostenerlo con successo in ogni conversazione, di Gabriele Niola. Se ne leggono tante e se ne dicono tante sul cinema italiano del XXI secolo. Troppo frivolo, poco impegnato, fossilizzato su temi e comicità retorici e poco innovativi. Forse non è del tutto sbagliato pensare cosi e a confermare ciò ci pensa il critico cinematografico Gabriele Niola in questa sua pubblicazione. Il libro, infatti, propone ben 7 motivi per confermare questi pensieri i quali sono spiegati più specificamente nell'indice accompagnati da una breve sintesi e tutti rispondenti alla domanda: "Perché odiare il cinema italiano?". Numero 1. perché gli attori sono sempre gli stessi (il sistema divistico italiano e la sovraproduzione di film porta all'utilizzo di sempre gli stessi attori, intensi allo stesso modo che poco riescono nel dono dell'immedesimazione); n. 2, perché tutti devono essere un autore italiano (tutti i registi inseguono il modello dell'autore raccontando se stessi, manifestando idee politiche esplicite, seppur tutti i film iniziano e finiscono allo stesso modo). N. 3, perché è nemico del presente e amico del passato (nei film italiani le novità sono cacciate e la modernità crea problemi); problema n. 4, perché piuttosto che innovare (si) ripete (il cinema italiano vive di schemi narrativi che si ripetono e duplicano, privi di un vero e proprio senso); n. 5, perché il cinema per ragazzi non esiste (i registi italiani hanno un problema con l'infanzia e il cinema non riesce a inventare storie che piacciono a chi ha meno di trent'anni). N. 6, perché ha appaltato la formazione degli attori alla tv (in Italia conduttori e comici diventano attori se non addirittura autori da più di trent'anni, lasciando pochissimo spazio agli attori veri); n. 7, perché tutti fanno il regista (sceneggiatori, attori, direttori della fotografia, in Italia tutti fanno i registi, portando alla creazione di film diretti malissimo). Il libro di Niola è scorrevole e puntuale. Nelle sue risposte propone esempi e citazioni, senza mai scadere nel soggettivo, bensì prestando sempre esemplificazioni oggettive che avvalorano la sua tesi.

Vivere e morire a Santiago. Introduzione al nuovo cinema cileno, di Roberto Lasagna. In Italia pochissime pubblicazioni hanno indagato il cinema cileno che invece grazie ai suoi registi e alle sue idee trionfa e raccoglie consensi di critica e pubblico nei festival internazionali. Questo, infatti, ha moltissimo da dire e da raccontare sul proprio tempo e sulla propria nazione, sulle proprie inquietudini sociali, partendo proprio dalla volontà di affrontare e capire gli anni del terrore della dittatura di Pinochet. Roberto Lasagna, studioso di cinema, parlando di Ema di Pablo Larrain e di Sebastián Lelio ripercorre gli ultimi anni del cinema cileno partendo con Guzmàn, Ruiz per giungere agli autori di oggi e completando l'analisi con tre conversazioni/interviste con Alfredo Castro, Antonia Zegers, Amparo Noguera, nel capitolo "La voce dei protagonisti". L'analisi di Lasagna, quindi, inizia con i padri del cinema cileno contemporaneo quali Miguel Littín, Raúl Ruiz, Alejandro Jodorowsky, spiegando le loro posizioni e i loro film, per proseguire, sempre facendo riferimenti alla storia (anche cinematografica) del paese, a Pablo Larrain, a cui passa "il testimone del bisogno di documentare la storia moderna del Cile". Da Tony Manero, fino a Post mortem, a Jackie (l'unico film che non parla direttamente del Cile, seppur sia presente il tema dell'identità vera soffocata da quella creata, già presente in altri suoi film), ed Eva in cui il cineasta presenta un Cile "frastornato e trasformato" (p. 41). Il libro si conclude con una prospettiva che travalica le Ande, la colonna vertebrale del Cile. Garage Olimpo di Marcho Bechis racconta l'Argentina dei desaparecidos, mentre la visione delle storie di Sebastián Lelio proietta il suo cinema a livello internazionale. La lettura del cinema cileno di Lasagna è completa ed esaustiva, e si spiega come una linea che si interseca nelle idee dei vari registi citati, nelle loro opere e nella società e storia della nazione sudamericana. In questo modo l'autore porta in evidenza come per tutti gli interpreti di oggi di questa cinematografia, quanto questi elementi siano indispensabili per il proprio racconto.

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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