Incontro con Shinya Tsukamoto
- Scritto da Davide Parpinel
- Pubblicato in Asia
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Quanto può una madre preoccuparsi per la vita del proprio figlio? Quali pensieri possono governare la sua mente sul futuro che lo attende? Questi sono gli interrogativi che si è posto Shinya Tsukamoto, che alla 68° Mostra Internazionale d'arte Cinematografica di Venezia, nella sezione Orizzonti, ha presentato il suo nuovo lungometraggio Kotoko, interpretato dalla cantante giapponese Cocco. Per spiegare il suo film ha affermato: “L'esigenza che mi ha condotto a realizzare Kotoko nasce dalla volontà di parlare del rapporto madre-figlio. E' il legame primario nella vita dell'uomo, la base da cui ripartire e noi giapponesi abbiamo bisogno di ricostruire e nascere una seconda volta dopo l'11 marzo, giorno del terremoto e dello tsunami”.
Cocco è una giovane madre che vive all'interno di un conflitto tra mente e corpo. La prima la porta fuori dalla realtà, fuori dalla comune visione, così da poter vedere la doppiezza delle persone; quando incrocia lo sguardo di un individuo, Cocco visualizza la sua componente positiva e quella negativa che si scaglia contro di lei e suo figlio con violenza e malvagità. Tutto ciò le provoca ansia e terrore nei confronti del prossimo e del futuro. Non sa cosa quale vita possa costruire suo figlio se il mondo è pieno di malvagità. Per avere maggiore contatto con la realtà e con il suo corpo, la protagonista si lesiona, si taglia, come prova tangibile della sua esistenza. Per lo stesso motivo picchia e infligge continue sevizie all'uomo che le si avvicina dopo l'allontanamento del figlio dalla sua tutela. Cocco, però, non usa solo la violenza per sentirsi viva: la donna canta. La sua dolce voce si perde nell'aria e costruisce un ponte tra lei e ciò che la circonda. Quando il figlio, però, rientra sotto la sua tutela, la sua attenzione ansiosa degenera: l'ansia per ciò che succederà la attanaglia e la donna perde non solo la ragione, ma anche ogni contatto con la vita vera. Rimane in balia della sua mente.

E' Cocco a incarnare questa situazione di dubbio, di terrore attraverso il suo aspetto magro, scheletrico, sfibrato dai suoi interrogativi e dal nervosismo. Il regista la rinchiude in una piccolissima casa bunker, claustrofobica, arredata con pochi mobili, da cui trapela fioca la luce dell'esterno, per isolarla dal mondo, malvagio e malefico.

Quindi il futuro può essere malvagio, ma anche colmo di speranza e per questo Kotoko riflette anche sul tema del doppio. Due sono le componenti in analisi, madre e figlio, due possono essere le strade da intraprendere per la loro vita, positiva o negativa, come le visioni di Cocco. Dipende dall'uomo e dalle sue scelte e in questo Tsukamoto dimostra di conoscere profondamente la sua natura.
Questo è il più grande pregio del film, la sua dimensione umana. Kotoko è un'indagine su ciò che spinge l'uomo verso una direzione, piuttosto che verso un'altra, su come lui stesso è artefice del suo futuro. Penetra nella mente della protagonista, ne viscere i dubbi attraverso un impatto visivo a volte terrificante, ma, paradossalmente, sempre reale, perché il presente dell'uomo è ancora di violenza. Per questo il film è stato insignito del Premio Orizzonti riservato ai lungometraggi.
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