Bangkok Nites - Recensione (London East Asia Film Festival 2016)
- Scritto da Adriana Rosati
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Il regista giapponese indipendente Katsuya Tomita ritorna dopo Saudade del 2011 con un’altra storia di personaggi nomadi e in conflitto con il concetto di identità nazionale in Bangkok Nites, presentato a Locarno l'estate scorsa e ora al London East Asia Film Festival.
Siamo a Bangkok nella Thaniya Street, nel quartiere a luci rosse, dove si concentra il turismo sessuale dal Giappone. Il film inizia con uno sguardo alle luci della notte da una finestra che riflette il volto disilluso di Luck (Subenja Pongkorn), la protagonista del film. È in una stanza d’albergo dove un facoltoso uomo d’affari giapponese recita la solita vecchia pantomima di amore, sesso, soldi, ecc. ecc. Luck lavora come prostituta in uno dei club di Thaniya Street, dove le ragazze sono esposte per categorie e tipo di servizi, ai clienti giapponesi. La ragazza è spesso definita la numero 1, e il suo impegno e dedizione al lavoro le permette di sostenere la famiglia che vive in una parte rurale a nord della Thailandia, vicino al Laos, e di avere un appartamento niente male a Bangkok. Luck è determinata a prendere più che può da questa situazione che sa bene non durerà per sempre. La ragazza un giorno si imbatte in Ozawa (interpretato dal regista stesso), un ex soldato giapponese con cui si era legata affettivamente 5 anni prima. Ozawa non è ricco come i clienti abituali del club e vive ai margini di questo business del sesso e della droga, è in cerca di fortuna anche se non fa molto per trovarla e frequenta altri expat giapponesi di simile destino. Ad un certo punto Luck decide di prendersi una pausa e andare a trovare la famiglia e Ozawa, che anche lui si sta dirigendo a Nord verso il Laos, la accompagna. Nel paese dove vive la famiglia di Luck, Ozawa è affascinato dalla vita semplice e rilassata, mentre Luck è tormentata dai dissapori con la madre e da questo senso di ineluttabile destino che accompagna le donne thailandesi. Dai paesi rurali le giovani vanno a Bangkok perché l’industria del sesso è la unica speranza di sopravvivenza per loro e per le loro famiglie, madri e zie restano indietro ad accudire i bambini che presto sostituiranno a Bangkok le ragazze alla fine della loro breve 'carriera' e il circolo ricomincia. Di contro, gli uomini sembrano vagare tranquilli bevendo e fumando erba tutto il giorno e non stupisce che Ozawa lo definisca un Paradiso. Ozawa continua il suo viaggio verso il Laos che lo porterà a contatto con una terra ancora fortemente traumatizzata dai recenti conflitti e una serie di personaggi senza un’identità geopolitica definita. Guerra d’Indocina, del Vietnam, la Cambogia, Pol Pot, il Nord della Thailandia (che abbiamo visto nei film di Apichatpong Weerasethakul), rapper filippini, traveler francesi e gli Hmong, il popolo filo-americano del Laos. Gli echi dell’era coloniale misti a molti fantasmi del passato, forse troppi per quello che il film può elaborare. Ozawa è lo sguardo malinconico del regista, e proprio nel paese natale di Luck, gli viene ricordato che: “è triste non avere un posto che possiamo chiamare casa”.
Il cerchio si chiude inevitabilmente come il destino recitato da Luck precedentemente.
Bangkok Nites è un affresco vivido e pervaso da una saudade (per citare il film precedente del regista) per un 'paradiso' che molte volte viene menzionato nello svolgimento. Per i ricchi clienti dei bordelli di Bangkok il paradiso è potersi permettere un festino di sesso e droga ad un ventesimo del prezzo di una serata a Rappongi, a Tokyo. Per Ozawa il paradiso è l’apparente semplicità della vita di paese, per Luck il paradiso è guadagnare tanti soldi e aprire un lussuoso ristorante in stile europeo.
Ci sono dei momenti surreali che ammiccano al cinema di Weerasethakul (che è nei credits) come una misteriosa creatura acquatica che si affianca al vaporetto e abitanti del bosco in tenuta da guerra. E ci sono potenti momenti visivi come una ripresa da drone, che si alza rivelando un territorio devastato da rotondi crateri di bombe. Il tutto accompagnato da un misto di musica thailandese pop Anni '60, cover da karaoke e folk music.
Il film è molto lungo (tre ore) e tocca tanti argomenti topici lasciandone alcuni sospesi e secondo me avrebbe beneficiato di qualche taglio e una cernita di tematiche. Ma sicuramente traspira l’attaccamento del regista a questa parte del mondo e lo sguardo molto attuale sui confini che si sfocano e il disagio dell’adattamento a questo processo.
La lunga ricerca di quattro anni che ha preceduto la realizzazione di Bangkok Nites fa immaginare perché ci sia così tanto in queste tre ore.
http://linkinmovies.com/cinema/asia/bangkok-nites-recensione-london-east-asia-film-festival-2016?print=1&tmpl=component#sigProId264216c24d
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Adriana Rosati
Segnata a vita da cinemini di parrocchia e dosi massicce di popcorn, oggi come da bambina, quando si spengono le luci in sala mi preparo a viaggiare.
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