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Venezia 79, giorno 7: cronache di cinema e non solo

Un resoconto fatto di news, rumors, eventi, volti, chiacchiere, battute, dichiarazioni e ovviamente cinema per spiegarvi bene cosa significa vivere ogni giorno la 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Oggi parliamo dei colori della Mostra, di Love Life, e di un paio di film delle Giornate e della SIC

Giorno settimo qui al Lido. Il sole è sempre alto e quanto fa caldo! Per fortuna che l’odore del mare pervade e circonda il Lido. Attorno al Palazzo del Cinema si muovono fan in delirio, accreditati trafelati, sorrisi e gioie, attese e speranza che rendono vitale la Mostra di Venezia. L’introduzione di oggi vogliamo dedicarla alle sensazioni, soprattutto quelle visive, perché lo sguardo è la componente essenziale di questa manifestazione, focalizzando i nostri occhi su quelli che sono i colori della Mostra. La cittadella del Lido, infatti, non risplende solo del bianco del Palazzo del Cinema e del color marmo del Palazzo del Casinò o non si veste solo dei multicolori della bandiere che garriscono sul tetto del Palazzo del Cinema quando il vento spira. La Mostra è soprattutto il rosso del red carpet che ogni pomeriggio/sera risplende e sbriluccica (è reso così grazie al paziente lavoro degli addetti alle pulizie che ogni mattina lo puliscono e pettinano) mentre accompagna divi e attori, registi e autori (o sedicenti tali, a volte) verso il trionfo e la consacrazione. Quel rosso, infatti, non è solo un colore di sfondo o fondo, è quasi una metafora: se lo calchi, la gloria è assicurata. Ecco perché ogni volta che c’è la presentazione di un film in Sala Grande vediamo una schiera di modelle/i, fenomeni dei social e dei media, a volte sistemati anche in coda come fossero dal salumiere, per cercare di conquistare il loro angolo di paradiso, passando dall’obiettivo dei fotografi. Questi, infatti, sono implacabili in questa missione, bardati dei loro abiti, nascosti dalle macchine fotografiche e armati delle loro urla per cercare di attirare l’attenzione del divo di turno, per catturare un sorriso, un momento di imbarazzo o una scintilla negli occhi. Il nero, poi, è anche degli smoking o dei completi degli uomini non solo degli attori, ma anche del presidente Cicutto, del direttore Barbera e degli agenti di sicurezza; e poi c’è il nero brillante dei sontuosi abiti lunghi delle dive e attrici, quando pensano più a vestirsi con gusto che a impressionare.

Il nero, il rosso, quindi, e poi? I sorrisi e le urla dei fan in delirio vicino al red carpet che colori hanno? Forse il bianco dei fogli che hanno in mano per catturare qualche autografo o ancora il nero dei pennarelli o delle cover degli smartphone che si issano per catturare qualche selfie. Tutto questo popolo della Mostra, poi, ha anche il colore della luce (anche se la luce tendenzialmente non ha colore, ma noi vogliamo dargliela) degli occhi che brillano o delle lacrime di gioia versate di fronte al proprio idolo. Infine a Venezia 79 si può notare anche il colore giallo senape delle borsette che La Biennale ha dato in dotazione quest’anno agli accreditati che sfrecciano da una sala all’altra; torna il rosso dei cordini porta accredito e poi i colori degli accrediti. Rosso, blu e tanto verde (fino a qualche tempo fa c'era anche il giallo dei media press, accredito stampa, ora sparito) sono i colori che si notano girando per la cittadella del Lido e caratterizzano l’altro popolo della Mostra, quello che ne parla, ne scrive, ne discute. Infine, per chi volesse fare un pieno di colori brillanti e vivaci consigliamo di osservare da fuori e in particolare da dentro il maestoso padrone di questo pezzo del Lido, l’Hotel Excelsior che con la sua forma liberty, con accenni in stile veneziano-bizantino, con i suoi colori dorati che contrastano con i mattoni della facciata, riempie gli occhi di chi ci passa affianco (e ci auguriamo che il Des Bains, abbastanza presto, possa risplendere dei suoi colori originari). Vi abbiamo raccontato questo perché ci chiedete sempre di descrivervi tutto ciò che c’è al di fuori della sale e del red carpet qui alla Mostra e ci auguriamo che questa suggestione sensoriale vi abbia conquistati. 

Parliamo di cinema, parliamo di Kōji Fukada. Love Life è l’unico film proveniente da una produzione orientale del concorso di Venezia 79. Viene dal Giappone, l’ultimo opera di questo prolifico regista che al Lido porta il suo punto di vista sulla famiglia. Il film, infatti, in una prima analisi, parla dei problemi di una famiglia, composta da Taeko (Fumino Kimurae Jiro (Kento Nagayamae dal loro figlio Keita che si disgrega quando un evento molto grave coinvolge il bambino. In realtà, però, il film riflette sulla famiglia, e più a fondo si concentra sulla solitudine, sul dolore e sullo stato d’essere delle generazioni di adulti di oggi in Giappone. Questi sentimenti coinvolgono soprattutto Taeko, costretta da affrontare il proprio passato in un presente estremamente doloroso, grazie al ripresentarsi nella sua vita del padre biologico del bambino, Park (Atom Sunada), di origine coreana, sordomuto e bisognoso di una mano per sopravvivere. Ciò si capisce nel film grazie alla struttura narrativa che il regista ha tessuto, incastrando i vari eventi in modo tale che le scelte compiute dalla donna portino come amara conseguenza il fatto che lei rimanga sempre da sola. Questa, infatti, cerca costantemente l’appoggio in qualcuno, ma puntualmente le sue speranza vengono disattese, anche soprattutto per la sua incapacità di scegliere cosa fare in ogni momento. Ciò porta all’altra conseguenza, ossia all’incapacità degli adulti di oggi (solo del Giappone o anche del mondo intero?) di fare correttamente i genitori, perché troppo spesso abbagliati dalle proprie esigenze e desideri. Questo riguarda la donna nei confronti del suo piccolo figlio, il padre biologico in relazione ai suoi figli e anche Jiro, uomo a metà tra il matrimonio con Taeko e una relazione precedente che pare non essere mai tramontata. Love Life, pertanto, conduce la sua analisi attraverso queste direttrici, esprimendo veri e propri giudizi, come quando il padre di Jiro definisce il suo matrimonio con Taeko di riserva, di secondo ordine, appunto per il passato della donna. Fukada appare come uno spettatore silenzioso; osserva, muove poco la macchina da presa, e lascia che i personaggi parlino e si capiscano con lunghi silenzi. Questo, unito alla totale assenza di musica e di un ritmo molto bloccato, permettono al film di perdere intensità emotiva soprattutto nella parte in cui Taeko e Park si riavvicinano. Globalmente, Love Life si lascia vedere, non è spiacevole. C’è da dire, però, che il momento della riflessione e della deduzione di quanto detto prima, non è immediato. Durante lo svolgimento chi guarda è più portato a concentrarsi su come andrà a finire la storia, mentre al termine della proiezione, rimane il dolore e la tristezza, l’intrattenimento di una storia amara; poi rimettendo insieme i pezzi del film, si giunge alla riflessione su tutto questo. 

C’è il cinema del concorso e il cinema delle altre selezioni. Oggi sono stati presentati nel concorso Il signore delle formiche di Gianni Amelio e The Eternal Daughter di Joanna Hogg e fuori concorso Dead for a Dollar di Walter Hill. Del film di Hill vi parleremo prossimamente perché lo vediamo domani, mentre oggi vi segnaliamo due film, uno delle Giornate degli Autori e uno della Settimana della Critica. Il primo è Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta, regista e attore teatrale, profondo conoscitore della cultura e della lingua siciliana (noi lo abbiamo conosciuto quando siamo rimasti abbagliati dal suo spettacolo teatrale, Eumenidi di Eschilo, recitato nel dialetto di Alcamo, la culla del volgare italiano) all’opera prima nel cinema e ha potuto avere come direttore della fotografia Daniele Ciprì. Il film è stato presentato in anteprima alle Notti veneziane della Giornate, e si articola secondo un doppio filone, quello delle persone disperate che accettano di farsi mutilare gli arti per denaro, e quello di chi pratica questo business, spaccando le ossa per simulare incidenti e truffare le assicurazioni. Di questo gruppo criminale fa parte anche Vincenzo, interpretato dallo stesso Pirrotta, che, come l’ha definito lui stesso è "un uomo senza qualità, forse il più miserabile di tutti", al punto da coinvolgere nel suo giro anche la donna per cui prova dei sentimenti, la tossicodipendente Luisa (Selene Caramazza). Gli spaccaossa in Sicilia esistono realmente e Pirrotta ha preso spunto proprio da questo. A tal proposito ha affermato: “La cupa vicenda degli Spaccaossa mi accompagna da quella mattina in cui una notizia di cronaca del giornale radio dell'alba ha conquistato i miei pensieri arrivando ad assumere le fattezze di un cancro da espellere”. “Per farlo sentivo forte la necessità di raccontarlo. Intanto perché avveniva nel ventre molle di Palermo, la mia città, con tutto il suo feroce incanto. E poi perché man mano che mi addentravo nella storia di cronaca, dapprima per curiosa voglia di sapere e poi con il bisogno di sfogliarne i sostrati, avvertivo sempre più in me la sensazione di compiere una discesa agli inferi”. 

L’altro film di cui vogliamo parlarvi è un’altra discesa agli inferi, sempre diretto da un regista all’opera prima. Dogborn è, infatti, il primo lungometraggio scritto e diretto dalla svedese Isabella Carbonell, in concorso alla Settimana Internazionale della Critica: parla di due gemelli senzatetto che tentano di sopravvivere in una società disumana. Loro due sono la loro famiglia, infatti anche se profondamente diversi, la sorella è sempre sul punto di esplodere ed emette delle urla assordanti; il fratello, invece, non parla, ma si tiene le urla dentro di sé. Il loro principale sogno è di avere una vera casa e per concretizzarlo sono disposti ad accettare un lavoro facile facile: trasportare delle cose. Quando, però, le merci sono due giovani ragazze, nella famiglia dei due fratelli si crea improvvisamente una frattura. Nel corso di un paio di giorni, i gemelli sono costretti a prendere una decisione che cambierà la loro vita. La domanda, quindi, che si pone il film è fino a dove saranno disposti a spingersi pur di avere una vita migliore? Quante scelte, quanti bivi, quante speranze sembrano pervadere l’uomo di oggi.

Abbiamo concluso. Domani vi parleremo di altro cinema e non solo.
Intanto continuate a scriverci (e vi ringraziamo per questo) al nostro indirizzo staff.linkinmovies[at]gmail.com che prima o poi troveremo tempo e modo per rispondervi!


Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

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