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Hotel Pasolini ovvero Alfredo Bini: l'uomo libero del cinema

Il compito è semplice: aprire questo libro e tuffarsi nella vita di Alfredo Bini. Il risultato: capire l'enorme valore di quest'uomo nel cinema e soprattutto nel contesto culturale italiano degli anni Sessanta. Bini, infatti, fu un fortunato e lungimirante produttore con un accento particolare: quello di un uomo libero

Chi è Alfredo Bini? È possibile che in molti tra l'Italia e il mondo gli debbano qualcosa? Il caro Bini non ha sperimentato cure mediche speciali o fatto scoperte scientifiche rivoluzionarie; il suo ambito d'azione è stato il pensiero, l'analisi dei costumi degli italiani e del contesto sociale e politico degli anni Sessanta attraverso le ottiche del cinema. Alfredo Bini è stato, infatti, un produttore cinematografico, oltre che un fedele sostenitore delle sue idee e un appassionato di pensieri (e uomini) nuovi. Ora il suo profilo rivive in Hotel Pasolini. Un'autobiografia a cura di Simone Isola e Giuseppe Simonelli, 152 pagine, Il Saggiatore, 2018. Sei capitoli, più l'introduzione e la postfazione scritte rispettivamente dai due curatori, in cui l'autore si racconta in prima persona e spiega come abbia contribuito a rendere grande e unico il cinema italiano della metà del Novecento.
Lo stile del libro è documentaristico. È come se Isola e Simonelli abbiamo posto la macchina da presa di fronte ai baffi dell'autore, il quale si è sciolto in un lungo flusso di parole (Simone Isola è anche il regista del doc Alfredo Bini: ospite inatteso del 2015). Non si tratta quindi di una vera e propria autobiografia, perché non c'è un elenco cronologico di avvenimenti; Hotel Pasolini è il sentito narrare della vita di un uomo con lo sguardo fisso all'obbiettivo.

Io credo nelle mie idee. Dall'introduzione a pagina 12 si legge: "[Bini] descrive il lavoro del produttore come uno dei pochi mestieri rinascimentali ancora possibili: un uomo con conoscenze ed esperienze di vita diverse che è in grado di influenzare le varie componenti che concorrono a realizzare il prodotto, e di avere la consapevolezza della totalità e della finalità dell’opera". E Alfredo di esperienze di vita ne accumulò davvero molte. Livornese di nascita, goriziano di crescita, volontario nella seconda guerra mondiale, attraversò a piedi i Balcani per tornare a casa, per poi maturare umanamente e professionalmente a Roma alla fine della guerra, laureandosi anche in medicina. Da ciò si capisce che uno dei tratti distintivi della vita del produttore è stata la sopravvivenza, il riuscire a cavarsela, la capacità di intrufolarsi nel posto giusto al momento giusto. Questa era anche l'Italia nel secondo dopoguerra, e in questo contesto il produttore maturò l'idea che l'unico elemento in cui credere per sopravvivere e fare cinema era l'uomo. In questa prospettiva si devono interpretare i diversi tentativi da parte di Bini di intessere collaborazioni lavorative durature con amici e colleghi. Ciò che ottenne furono scarsi risultati, perché i più erano concentrati sui propri interessi. Qualcuno rimase, però, a fianco ad Alfredo, come Mauro Bolognini, regista de Il bell'Antonio (1960), ma soprattutto i giovani autori, perché secondo lui, erano gli unici in grado di analizzare e raccontare adeguatamente il contesto, oltre a costare poco. Tra questi uno in particolare, Pier Paolo Pasolini.

Da Accattone a Edipo re. Il capitolo Io e Pier Paolo si concentra sulla collaborazione umana e artistica tra il produttore e il regista. Per arrivare a comprendere la loro unione artistica, è necessario precisare la furbizia di Bini nel trovare uno spunto per un film in ogni momento della vita, anche l'acquisto di un'imbarcazione. Bini era infatti un uomo scaltro, tanto da convincere i suoi collaboratori ad accettare le sue volontà. Ne sa qualcosa Anna Magnani che per partecipare a Mamma Roma (1962) praticamente non ricevette compenso, se non il 50% degli utili del film; o lo stesso Pasolini il quale credeva che Bini volesse girare Il vangelo secondo Matteo (1964) in Palestina, come da lui proposto, mentre il produttore in realtà organizzava le riprese tra Basilicata e Puglia. Ciò per dimostrare che il protagonista del libro credeva nel potere del cinema di poter smuovere l'uomo dall'omologazione sociale dell'Italia di quegli anni, dal suo bigottismo, dalle sue macroscopiche ipocrisie, e sapeva con cognizione quali forme, modi e soprattutto persone fossero i più adeguati per liberarlo da queste catene concettuali. Così nacque il sodalizio Bini-Pasolini. Il produttore nel testo racconta un episodio, un aneddoto, una vicenda per ogni loro lungometraggio, ponendo soprattutto in luce le difficoltà nel portarli al termine, sopratutto contro il 'corretto' pensiero dei politici di quegli anni, gli scontri con la censura e i guai giudiziari. Hotel Pasolini è soprattutto un libro umano e quindi i passi che meglio si impressionano nella mente di chi legge sono quelli che descrivono le fragilità di Pasolini e come Bini si fece scudo e corazza contro tutto, uomini e pensieri, anche entrando in collisione con la natura della stesso regista.

Un avventuriero del cinema. Nella vita professionale di Bini non ci fu soltanto il regista friulano. Ci fu Ro.Go.Pa.G., film a episodi del 1963 sulle inquietudini e presunte felicità dell'uomo moderno. Poi ancora Ugo Gregoretti; il documentario di Gianni Bisiach su John Fitzgerald Kennedy dal titolo I due Kennedy del 1969; La bellezza di Ippolita di Giancarlo Zagni con Gina Lollobrigida del 1962; La mandragola di Alberto Lattuada del 1965; i film con Damiano Damiani e un profilo di Nino Manfredi, definito insicuro e timido. Poi c'è la vicenda Satyricon, il conflitto con Federico Fellini che prima abbracciò e poi abbandonò il progetto, finendo così per portare sugli schermi lo stesso anno, il 1969, il Fellini's Satyricon, diretto dal romagnolo, e il Satyricon di Bini diretto da Gian Luigi Polidoro. E poi ancora molte altre avventure: di cinema con Bora Bora di Ugo Liberatore del 1968, ritirato perché definito osceno; Inferno di Franco Zeffirelli mai realizzato, come anche Padre selvaggio di Pasolini che non ha mai visto la luce a causa degli strascichi con la censura dopo il suo episodio in Ro.Go.Pa.G dal titolo La ricotta. Non solo avventure di cinema, ma anche con le donne, verso cui Bini ha sempre nutrito un profondo rispetto, e una pensione di € 412,18 al mese fino al 2008 quando finalmente ottenne il diritto di avere il compenso stabilito della legge Bacchelli.

Alfredo Bini: l'ultimo uomo libero del cinema. Alfredo Bini è stato quindi un uomo libero, pieno di vita che uscì dal mondo della celluloide, quando comprese che questa forma d'arte aveva perso la sua valenza sociale e morale. Hotel Pasolini risuona di tutto questo anche grazie alle fotografie che inquadrano i migliori passaggi della vita del produttore, oltre alle testimonianze dirette di amici e colleghi, da Gianni Bisiach a Piero Tosi, Claudia Cardinale e Bernardo Bertolucci, a corredo dei capitoli. L'unico appunto da muovere al libro riguarda il titolo. Sarebbe stato più identificativo intitolarlo ad esempio L'ultimo uomo libero del cinema, che meglio identifica il contenuto, considerando che Pasolini è un singolo tassello del tutto. È bello però, pensare che Hotel Pasolini sia stato il titolo voluto da Bini stesso, la cui scelta comunque non priva di valore un'intensa e ammaliante lettura.

Davide Parpinel

Del cinema in ogni sua forma d'espressione, in ogni riferimento, in ogni suo modo e tempo, in ogni relazione che intesse con le altri arti e con l'uomo. Di questo vi parlo, a questo voglio avvicinarci per comprendere appieno l'enorme e ancora attuale potere di fascinazione della settima arte.

1 commento

  • guiuseppe simonelli
    guiuseppe simonelli Sabato, 19 Gennaio 2019 16:23 Link al commento Rapporto

    HOTEL PASOLINI non è stato assolutamente un titolo pensato da ALFREDO ma pura scelta commerciale dell editore.

    il mio titolo sarebbe stato STORIA DI UN PRODUTTORE ITALIANO e credo che lo sarebbe stato anche per ALFREDO
    grazie
    Giuseppe Simonelli

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