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Freakbeat

Roberto Freak AntoniUn road movie tutto italiano che è una scoperta piacevole e di spessore. Un viaggio con Roberto Freak Antoni alla ricerca del sacro Graal del Beat. Dal Torino Film Festival
Roberto Freak Antoni, leader carismatico degli Skiantos, con il pretesto di aiutare la figlia adolescente Margherita, che sta girando un documentario per la scuola, ci accompagna su e giù per l’Emilia Romagna nei luoghi del Beat degli anni ’70 in un viaggio nella memoria visiva e soprattutto uditiva.
Il tema è la ricerca del “Sacro Graal” del Beat, una mitica registrazione che ha come protagonisti il leggendario Jimi Hendrix e l’Equipe 84, effettuata durante quello che, forse e ancora oggi, resta il periodo più prolifico di sperimentazione musicale, di rottura sociale e di grande fermento intellettuale che il Bel Paese ha conosciuto.

Roberto Freak Antoni, o più semplicemente soltanto Freak,  è una presenza scenica di grande impatto, un “intellettuale demenziale” come lui stesso si definisce, un Virgilio in pelliccia ed abiti floreali, perennemente con gli occhiali da sole anche con la pioggia e con l’espressione buffa e corrucciata dell’assoluto disincanto.
Freak non vive nel passato, ripercorre il suo passato, cerca di far conoscere alla figlia e allo spettatore un percorso differente, nel tentativo di instillare una nuova consapevolezza, una volontà di ribellione che forse è ancora possibile e che sia non fine a se stessa, ma punto iniziale per un vero cambiamento, nonostante l’anestetizzata e anestetizzante situazione culturale in cui l’Italia versa oggi.
Una scena del filmIn questo road movie all’italiana, è la musica ad essere protagonista assoluta: musica come veicolo di idee, di emozione, di espressione, come strumento ma anche finalità; la musica accompagna, segue, precede. È il fil rouge che muove i personaggi, che veicola la ricerca (concreta e contingente del nastro, della mitica registrazione ma anche quella più ampia di una consapevolezza delle cose che può davvero portare all’azione e al cambiamento).
Luca Pastore, giovane documentarista torinese, firma questo lavoro di assoluta onestà intellettuale, di grande semplicità ed emozione; concreto ma nello stesso tempo quasi fiabesco, riesce a veicolare grandi concetti con la semplicità immediata delle immagini e della musica.
Sul piatto le cose sono davvero molte, argomenti profondi (su tutti la ricerca delle radici e il rapporto padre-figlia) toccati con estrema leggerezza e senza superficialità, il tocco è leggero ma non certo meno incisivo anzi, risulta più incisivo quanto più è lieve.
Il sentimento più potente è la malinconia ma non quella negativa che porta verso abissi profondi, verso l’accidia o ancora verso l’inazione ma quella positiva che eleva, che produce la spinta alla conoscenza, al desiderio di ricominciare da qui, avendo ben chiaro quello che è stato e quello che avrebbe potuto essere.
Un lavoro importante che, oltre al messaggio di assoluta positività, rende evidente come il cinema italiano sia in grado, anche senza mezzi potenti e grandi cifre, di regalare emozioni, concetti, storie. E come sia ancora vivo, nonostante il tracollo culturale, l’appiattimento intellettuale.
Questo film è un piccolo gioiello psichedelico, delicato ed essenziale, accolto con grande calore e con applausi sinceri al Torino Film Festival da un pubblico che, oltre agli applausi, ha verosimilmente canticchiato gran parte delle canzoni presenti nella colonna sonora: io l’ho fatto.

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