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Intervista a Igort per 5 è il numero perfetto

Il lungo processo produttivo, l’ipotesi della collaborazione con Johnnie To, la decisione di passare dietro la macchina da presa. Il grande fumettista Igort racconta il suo esordio come regista, l’adattamento per lo schermo della sua graphic novel capolavoro 5 è il numero perfetto. Il film è stato presentato alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione Giornate degli Autori

Il cinema lo aveva conosciuto soltanto come autore (da ricordare il lavoro come sceneggiatore per il bel Last Summer diretto da Leonardo Guerra Seragnoli), preferendo concentrarsi sulla sua attività da fumettista anche quando si era iniziato a parlare di una trasposizione cinematografica del suo romanzo grafico di grande successo internazionale 5 è il numero perfetto.  Per lungo tempo Igort, nome d’arte di Igor Tuveri, ha pensato di occuparsi soltanto della scrittura del film. Mai della regia. Alla fine, però, ha cambiato idea e ha affrontato la sfida. Il lungometraggio ha esordito alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Giornate degli Autori. Protagonista Toni Servillo, nei panni del guappo e sicario in pensione Peppino Lo Cicero. Quando il figlio, diventato anche lui un killer, viene mandato in missione nel cuore di Napoli e freddato in un agguato, Peppino sente che la famiglia ha tradito, che qualcosa si è rotto nell’antico patto di lealtà che regolava la vecchia malavita. Chiama Totò, detto o’ Macellaio (interpretato da Carlo Buccirosso), l’amico di un tempo, sicario come lui, per scovare il mandante e regolare i conti. Al suo fianco ritrova anche Rita, detta ‘a Maestrina (Valeria Golino), la donna che lo ama da sempre.

Il fumetto nella sua versione definitiva viene pubblicato nel 2002. Un grande successo e non passa molto tempo che si inizia a pensare a un film. Come mai ci sono voluti così tanti anni per arrivare alla trasposizione cinematografica?
Una lunga storia che parte nel 2004 quando inizia a profilarsi, in modo concreto, l’idea di un adattamento. Il libro nel corso degli anni ha attirato diversi produttori italiani e non solo, ma per un motivo o per l’altro il progetto non andava mai in porto. Io lo volevo solo scrivere, non pensavo alla regia. Temevo i ritmi del cinema e di dover togliere troppo tempo, accettando quel ruolo, alle altre cose che facevo e mi interessava fare. Per tre volte ho così ceduto i diritti e diversi registi si sono cimentati con l’idea di una trasposizione. Dopo che mi sono tornati indietro per l’ennesima volta mi sono stufato, ho chiamato la mia amica produttrice Elda Ferri e le ho chiesto se mi dava una mano. A quel punto avevo deciso di farlo io.

È vero che tra le ipotesi di regia c’è stata anche quella di Johnnie To?
Certo. L’idea è arrivata da Marco Muller che è stato tra i primi a vedere nel mio fumetto un possibile film. Combinò anche un incontro e andai a Hong Kong. È stato molto interessante, affascinante. Arrivato lì mi hanno portato al palazzo della sua casa di produzione Milkyway. Incredibile, al settimo piano ci sono gli studi di posa. Al primo piano invece gli uffici. Nel suo studio, gigantesco, c’era una lavagna enorme con appese tutte le pagine del fumetto tradotte in cinese e messe in sequenze. Tutto lo svolgimento visivo della storia. Capisci perché il cinema di Hong Kong è così professionale e pieno di invenzioni.

Perché alla fine il progetto non si è concretizzato?
Perché lui ha poi fatto Vendicami che presenta lo stesso spunto di 5 è il numero perfetto: la storia di un vecchio sicario che torna in pista per vendetta. Là per la figlia, nel mio film per il figlio. Certo molte cose sono differenti, a cominciare dall’ambientazione.

Chissà come avrebbe girato a Napoli Johnnie To.
Non conoscendo la città, l’idea era di una co-regia. Lui si sarebbe dovuto occupare delle scene di azione, delle sparatorie. Che poi ho scoperto, girandolo io, è la cosa più divertente. Mi è piaciuto tantissimo costruire quelle scene.

E le sparatorie di 5 è il numero perfetto possono ricordare certe scene dei suoi film.
Quando Marco Muller mi parlò per la prima volta di Johnnie To, mi disse che lui girava come io disegnavo. Con quel tipo di simmetrie, di geometrie. E in effetti, dopo aver visto i suoi film che non conoscevo, sono rimasto sorpreso. E so che anche per lui è stata la stessa cosa dopo aver sfogliato il fumetto. Quando, però, ho girato il film sono partito dal mio lavoro, dalla mia paletta di colori, dall’idea di creare un’immagine uniforme costruita sulla triade fotografia, costumi, scenografia. Poi, certo, la mia visione è panasiatica. Nel senso che mi piace l’approccio al cinema degli asiatici, dagli hongkonghesi ai giapponesi. Anche le sequenze del fumetto le ho immaginate un po’ con uno sguardo asiatico. Pensavo al cinema della Nikkatsu, di Seijun Suzuki.
 
Non è un caso che il fumetto nasca, come ha ricordato più volte, quando si trovava in Giappone a lavorare per la casa editrice Kodansha.
Ero a Tokyo, a metà degli anni Novanta, quando ho cominciato a disegnarlo. Dopo aver finito un libro per i giapponesi, avevo voglia di fare qualcosa per l’Europa e ho pensato di raccontare una storia molto distante da quelle che avevo fatto sino a quel momento. Una storia su Napoli, una città-isola con la sua lingua, la sua cultura, i suoi riti, che presenta una dimensione unica sospesa tra tragico e ironico. Così partendo da una serie di situazioni che mi interessavano, da dinamiche narrative che si accavallavano, è venuto fuori questa specie di vecchio cavaliere male in arnese che poi cerca il suo amico in un momento di difficoltà. Questa l’idea di partenza che porta alla creazione del personaggio attorno al quale ruota il racconto ambientato a Napoli negli anni Settanta.

Napoli che nel film è quasi irriconoscibile.
L’idea era quella di reinventare la città, rendendola metafisica, deserta, piovosa, solitaria. Ci ho messo anche la nebbia. Per rispecchiare anche la dimensione del personaggio, un vecchio disperato perché gli hanno ucciso il figlio che torna in pista e non sa quanta energia gli sia rimasta.

Quanto si è portato dietro dell’esperienza da fumettista in questo esordio dietro la macchina da presa?
Faccio fumetti da quarant’anni e, anche se parliamo di un mezzo diverso, credo che l’esperienza mi abbia aiutato. Per me che disegno era facile dare indicazioni precise su cosa volevo e nel cinema dove non c’è tempo, perché il tempo ha un costo elevatissimo, questo è molto importante quando si parla con i collaboratori.

Dalla graphic novel allo schermo. Ha pensato ad altri film che vengono da fumetti durante la realizzazione?
No. E a dire il vero non mi piacciono solitamente i film basati sui fumetti. Mi vengono in mente History of Violence di Cronenberg, tratto da un fumetto mediocre, e Old Boy di Park Chan-wook, ispirato a un manga che è molto diverso. Ho sempre pensato in termini di cinema al mio film, come un’opera a sé stante.

E ci sono diversi omaggi al cinema, ad altri film. Per ricordarne uno, la divisione in capitoli che ricorda Kill Bill di Tarantino.
Amo il cinema. Per esempio c’è una scena che ho ripreso da Il mio vicino Totoro di Miyazaki, un omaggio a Toro scatenato di Scorsese. E per gli schizzi di sangue ho fatto riferimento a Full Metal Jacket di Kubrick.

Il film è comunque, in sostanza, aderente alla storia originale. Come ha lavorato in questo senso alla sceneggiatura?
Negli anni l’ho riscritta tante volte. C’è un personaggio nuovo rispetto al fumetto, una situazione narrativa con un prologo che non c’era nel libro, uno sviluppo un po’ diverso anche nel finale. La parte forte dei dialoghi viene dal fumetto, poi alcune cose le abbiamo modificate perché disegnate hanno un peso ma quando vengono incarnate assumono connotati diversi. È un altro linguaggio. Il semplice fatto che ci sia un corpo che si muove in uno spazio cambia le cose, indipendentemente dalla qualità dell’attore.

A proposito di qualità nella recitazione, ha potuto contare su grandi interpreti. A cominciare da Toni Servillo. Ha sempre pensato a lui come protagonista?
Peppino Lo Cicero è sempre stato Toni, non ho mai avuto dubbi. E nemmeno lui, perché ha creduto con forza in questo film. Appena ci siamo conosciuti, 15 anni fa, è nata una sintonia. Siamo coetanei, della stessa generazione, abbiamo vissuto parallelamente l’esperienza delle avanguardie, io nel fumetto e lui nel teatro. C’è stato subito un riconoscerci su un terreno comune, una dimensione maturata nel tempo e diventata una grande amicizia. Lui, sin dall’inizio, mi aveva consigliato di dirigere il film. Era convinto che potessi farlo meglio di tutti, che lo avevo in testa, anche se non avevo esperienze come regista. Alla fine, dopo anni, gli ho dato retta e credo sia andata bene. Non finirò mai di ringraziarlo. Riceve continuamente proposte di lavoro e ne ha dovuto anche rifiutare diverse per partecipare al progetto. Sul set, poi, è stato straordinario e mi sono commosso più volte vedendolo recitare. È un attore incredibile, per esempio ha fatto un lavoro grandioso di ricostruzione della mimica di Peppino Lo Cicero partendo dal fumetto.



Fabio Canessa

Viaggio continuamente nel tempo e nello spazio per placare un'irresistibile sete di film.  Con la voglia di raccontare qualche tappa di questo dolce naufragar nel mare della settima arte.

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