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Intervista ad Ann Hui per The Golden Era

"Non mi dispiace il cinema hollywoodianio, ho amato il Dottor Zivago, Lawrence d’Arabia e West Side Story, però preferisco fare film in cui ci sia anche una ricerca sperimentale formale, qualcosa che vada oltre la spettacolarità e l’effetto visivo, cosa che nei kolossal manca": intervista ad Ann Hui, che ci parla del suo biopic sperimentale The Golden Era

Abbiamo incontrato Ann Hui l'ultimo giorno della Mostra di Venezia 2014, poche ore prima della proiezione come film di chiusura del suo ultimo lavoro The Golden Era: affabile e sorridente, la regista ha spiegato le motivazioni di una scelta cinematografica così impegnativa, ci ha raccontato la situazione del cinema di Kong Kong e la sua esperienza come Presidente di Giuria della sezione Orizzonti.

Come ha ha scelto di fare un film su un personaggio letterario come Xiao Hong?

Sono sempre stata affascinata dai poeti romantici come Byron, Shelley e Keats e anche questa scrittrice come molti di loro è morta molto giovane.


Xiao Hong appare come una donna molto moderna, con una grande consapevolezza di se stessa, molto avanti rispetto ai suoi tempi: anche questo aspetto l’ha colpita?
Sì, certamente, anche nel 1975 quando lessi i suoi romanzi mi sembrava molto avanti per quell’epoca.

Cosa rimane della sua opera oggi in Cina? Qual è la considerazione che ha nel suo Paese?

In occasione del centenario della sua nascita, ci sono state diverse iniziative tendenti a ricordarla: spettacoli di danza, opere teatrali e anche una operetta che hanno avuto un buon successo e hanno fatto sì che crescesse molto l’interesse intorno alla scrittrice.

I fatti storici che fanno da contorno alla storia le avrebbero consentito di metter in piedi un biopic di stampo hollywoodiano, un kolossal, invece il suo è un film intimista. Come mai questa scelta?
Non mi dispiace il cinema hollywoodianio, ho amato il Dottor Zivago, Lawrence d’Arabia e West Side Story, però preferisco fare film in cui ci sia anche una ricerca sperimentale formale, qualcosa che vada oltre la spettacolarità e l’effetto visivo, cosa che nei kolossal manca. A me interessava sperimentare raccontando la biografia di questa scrittrice in modo personale.


Il film sembra orientalo molto sul pubblico cinese sia per le tematiche che per la struttura del racconto. E' una impressione sbagliata?

Sicuramente c’è questa intenzione, però spero anche che sia un film che cammini con le sua gambe, e che possa piacere ad un pubblico più vasto.

La cosa che più colpisce del film è una certa frammentazione narrativa attraverso le varie prospettive proposte e tenendo sempre al centro del racconto la sua opera letteraria. Alla luce della sua passata produzione mi sembra che sia una scelta piuttosto originale: volevo quindi chiederle se è d'accordo e perché ha deciso di strutturare il film così.
Sì vero, abbiamo discusso con lo sceneggiatore sul fatto che tutte le biografie sono versioni delle possibili realtà e quindi quello che è venuto fuori è quello che crediamo sia la verità ma non ne siamo sicuri, per tale motivo abbiamo creato questo tipo di racconto ascoltando la voce dei vari testimoni dell’epoca, tutti letterati anch'essi, e ci siamo basati sui testi. Ognuno racconta la sua visione storica e questo ci è sembrato un metodo molto più intrigante di narrazione.

La scelta di Tang Wei è stata in qualche modo condizionata dal fatto che anche lei, come Xiao Hong, è un personaggio abbastanza anticonformista, un po’ defilata nel panorama cinematografico del suo paese, una che ha pagato a caro prezzo delle scelte fatte?
Tang Wei non è molto rivoluzionaria (risata di gusto). Certo lei, in occasione della scelta fatta in Lussuria - Seduzione e tradimento di Ang Lee, ha dimostrato indubbiamente grande coraggio.

Il grande talento di Xiao Hong sembra che influisse anche sulle sue relazioni amorose, in quanto i suoi partner in qualche modo soffrivano questo talento.
Sì è vero, questo è il motivo per il quale i suoi amori alla fine sono stati molto tormentati ed in fondo tutto ciò condizionava anche molto la sua produzione letteraria.

Lei vive ad Hong Kong, ci può raccontare com'è il cinema visto da lì?
La situazione al momento non è molto buona, molti registi, me compresa, ci spostiamo in Cina per girare i nostri film. E' un problema di mercato: essenzialmente quello di Hong Kong è un mercato piccolo che aveva come bacino l’Estremo Oriente, ma ora ci sono molte altre cinematografie che si sono affermate, ad esempio Taiwan, Corea, che producono molti film e che hanno ristretto il bacino di utilizzo dei film di Hong Kong. La questione è economica: ad Hong Kong non abbiamo molte risorse e quindi ci rivolgiamo alla Cina per trovare i finanziamenti che da noi mancano.

Questo comporta limiti o restrizioni?
Relativamente alla censura non molto. Ad Hong Kong come in Cina violenza e pornografia sono vietati, l’unica differenza è che in Cina non è semplice fare film documentari ad esempio.

I dati anche prospettici parlano di un mercato enorme in Cina in continua espansione vertiginosa. A fronte del decadimento del mercato delle altre aree asiatiche la Cina diventa il mercato cui tutti i produttori di Hong Kong guardano. E’ giusta questa analisi?

Credo di no, non credo che la Cina fagociterà il cinema di Hong Kong perché la nuova generazione di registi è piuttosto matura e continuerà a produrre film ed è importante che ciò avvenga, magari non con me, ma con i nuovi registi Hong Kong ce la farà a sopravvivere.

La preoccupa la pressione di Hollywood che tende alle coproduzioni con la Cina sempre nell’ottica dell’immenso mercato che essa offre e quindi il pericolo di una invasione di blockbuster a danno di film come i suoi?
Non credo esista questo problema, ormai il pubblico, compreso quello cinese, è globalizzato. In Cina il pubblico va al cinema o vede DVD di film occidentali, direi che è piuttosto maturato, semmai le coproduzioni potrebbero dar vita a qualcosa di nuovo e originale. Certo fare film diversi dai blockbuster sarà sempre più difficile, occorrerà sperimentare molto.

Qui in occidente però molti la vedono diversamente riguardo all’identità del cinema di Hong Kong. Sembra ci sia una strenua resistenza a difendere una identità, anche linguistica, non a caso i tre maestri della New Wave, come lei, Johnnie To e Tsui Hark negli ultimissimi anni hanno girato film in Cina. Insomma in Occidente l’impressione è quella che il cinema di Hong Kong sia in forte sofferenza, anche perché pure diversi talenti più giovani, come Pang Ho-cheung, guardano ormai solo alla Cina.
Noi non abbiamo forse questa percezione così netta, già nell’80 abbiamo lavorato con la Cina Popolare, sia con mezzi che con uomini. Per noi non c’è grossa differenza a girare ad Hong Kong o in Cina, non è un problema di location, è un problema di pubblico: noi ci chiediamo a chi è rivolto il film e quindi scegliamo se girare in cantonese o in mandarino, o se fare o meno la doppia versione audio.

Come è stata la sua esperienza di Presidente di Giuria qui a Venezia?

Molto bella e rara, una grande occasione di vedere tanti film. C’è una bella combinazione tra grandi registi affermati e giovani cineasti, a volte mi sembra ingiusto che un film di un esordiente superi quello di un grande maestro e per una come me in possesso di una certa esperienza non aiuta (risata divertita). E’ difficile prendere una decisione in giuria perché tutti i film sono molto buoni, la difficoltà sta nel dovere comparare genere diversi, però alla fine bisogna giungere ad una decisione.

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